Non servono ambientazioni fantascientifiche o personaggi fuori dal comune, per trasmettere inquietudine e ansia al lettore. Un grande autore – e la Murata Sayaka di “La ragazza del convenience store”, edito da E/O io la inserisco nella categoria a pieno titolo – sarà capace di farlo anche attraverso il racconto del quotidiano.
Il romanzo mi ha trasmesso soprattutto questo: un forte senso di ansia, la sensazione di trovarmi davanti quasi a un universo parallelo, le cui dinamiche mi erano del tutto estranee. Il Giappone moderno può giocare di questi scherzi.
È che davvero – chi ci abita ve lo potrà confermare – qui il vivere comune è retto da regole particolari, difficili da comprendere per un europeo. È difficile per noi capire l’attaccamento quasi morboso al lavoro, la vita in spazi domestici ristretti, le convenzioni sociali. C’è sempre qualcosa di artificiale, mediato e costruito, nei rapporti interpersonali nipponici, come se tra le persone esistesse un filtro che in nessun modo e per nessun motivo può venire meno.
La dedizione con cui si dedica al suo lavoro, le bugie costruite al tavolino con la sorella che racconta agli altri per stornare i sospetti dalla sua vita (che agli occhi degli altri appare comunque tutt’altro che normale), le sue reazioni davanti a ciò che le accede intorno, sono tutti elementi che inquietano.
Lo è ancora di più il suo comportamento – e il suo pensiero – quando decide di prendere a vivere con lei un disoccupato nullafacente che, emerge chiaramente dalle cose che le dice, si sta solo approfittando di lei. In sintesi vuole essere mantenuto e pure trattato bene! Assurdo. Per chiunque ma non per Furukura, che vede nella loro convivenza una buona soluzione dei suoi problemi.
Si fa fatica a capire la protagonista di “La ragazza del convenience store” durante tutto il libro. Per assurdo è proprio sul finale che vediamo in lei un barlume di normalità, anche se poi la sua scelta – vista con la mentalità giapponese – è tutt’altro che sensata. Ma se c’è un luogo che suona dentro di noi, dove ci sentiamo utili e a casa, perché mai dovremmo abbandonarlo?