di Manuela Prato
redazione di letturacritica
Annemarie Schwarzenbach è una scrittrice del primo Novecento. Fortemente androgina, apertamente omosessuale, grande viaggiatrice, dipendente da alcol e droghe (morfina in particolare), ribelle e contrastata, fu una delle controverse protagoniste della vita culturale bohémien mitteleuropea tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Con forti simpatie naziste, entrò nel circolo di Erika, la sua compagna, e Klaus, i figli dello scrittore tedesco Thomas Mann, e fu proprio grazie al loro incoraggiamento che intraprese la professione di autrice.
“Tutte le nostre sofferenze le patiamo in segreto per qualcuno che ci amerà. Tutto ciò che facciamo lo facciamo in segreto per questo qualcuno.”
“La notte è infinitamente vuota” (Il Saggiatore, 2014) è un suo racconto, molto autobiografico, degli anni vissuti a Parigi, quando era studentessa alla Sorbona. La protagonista, Ursula, descrive in prima persona il suo amore per Jacqueline. Racconta le passeggiate notturne sui boulevard, le sere al Coupole. Raccoglie i suoi pensieri e scrive soprattutto della notte, del fascino delle ore notturne dove sembra che i sogni prendano corpo, desideri che svaniscono alla nuova luce del giorno.
“Passo metà delle mie notti a leggere… I lampioni illuminano la mia stanza come il chiaro di luna. No, non mi rendono sonnambula, ma combinati con i diversi rumori della strada mi tengono sveglia per qualche ora fino a che le cose lette e i pensieri non si mescolano per formare un sogno più o meno bello.”
Una donna piena di talento, ma fragile e tormentata, che morirà a soli trentaquattro anni per i postumi di un incidente.
Un racconto emozionante fatto di memorie e personaggi. Nelle pagine si riscontra un bisogno e una specie di terapia, una via per porre fine alle angosce e per dominare le frequenti crisi, le enormi tristezze che pesavano sulla sua vita come macigni.