Alice Basso è nata a Milano, ma adesso vive fuori Torino, in un ridente borgo medievale. Lavora per diverse case editrici come redattrice, traduttrice, valutatrice di proposte editoriali.
Nel tempo libero finge di avere ancora vent’anni, canta e scrive canzoni per un paio di rock band. Suona il sassofono, ama disegnare, cucina male, guida ancora peggio e di sport nemmeno a parlarne.
Nel 2015 ha pubblicato “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” con Garzanti, a cui sono seguiti “Scrivere è un mestiere pericoloso“, “Non ditelo allo scrittore“, “La scrittrice del mistero“. Il 2 maggio uscirà il quinto libro della serie, “Un caso speciale per la ghostwriter“.
Ciao Alice, è un piacere averti qui con noi per parlare dei tuoi libri, del personaggio di Vani Sarca e non solo. Sei reduce dal Salone del Libro di Torino. Com’è stato partecipare, sedendo però dall’altra parte del tavolo? Emozionata?
Una roba pazzesca. Pensa che io di solito il Salone lo vivo non solo da semplice spettatrice, ma addirittura da… ape operaia – nel senso che, lavorando per una piccola casa editrice, negli anni passati il mio ruolo era quello di stare dietro a un bancone e cercare di smerciare libri. Oltre che quello, naturalmente, di partecipare alle operazioni di montaggio e smantellamento dello stand, esperienza che non auguro a nessuno, men che meno a dei sedentari redattori come me. L’anno scorso e quest’anno, invece, sono andata al Salone vestita bene (anziché da Super Mario, in tuta da lavoro) e per parlare e firmare copie anziché per spostare scatoloni. Cenerentola me spiccia casa, come direbbero a Roma.
Sinceramente, quando hai scritto la prima parte delle avventure di Vani Sarca ti aspettavi che sarebbe piaciuta tanto al pubblico e avresti avuto questo successo?
No. Sarò più specifica: nemmeno lontanamente. Sarò ancora più specifica: nemmeno se si fossero aperte le nuvole, fosse sceso San Pietro in persona in un tintinnio di chiavi e mi avesse profetizzato la cosa. Ho avuto veramente una fortuna clamorosa. E non cominciamo con la storia del “Ma no, evidentemente se uno è bravo non è fortuna” eccetera, eccetera, perché io conosco un sacco di ragazzi che sanno scrivere molto bene eppure per una ragione o per l’altra questa fortuna ancora non l’hanno avuta. Basta poco, sai, per mancare l’occasione? Inviare il manoscritto in un momento dell’anno in cui, anche se tu non puoi saperlo, l’editore ha meno tempo del solito per dedicarsi agli esordienti. Inviare un manoscritto molto bello senza sapere che lo stesso editore ne ha appena messo sotto contratto un altro che parla più o meno delle stesse cose, e quindi non può permettersi un doppione. Inviare un manoscritto che sarebbe stato preso, se la programmazione annuale non fosse già stata chiusa. E così via. Tutto questo per dire: riconosco di essere stata proprio fortunata.
Partiamo dall’inizio. Come nasce in te la passione per la scrittura? Alice a 6/7 anni sarebbe voluta diventare…?
… una scrittrice. La mia storia non è particolarmente strana. Nove volte su dieci, quando incontri uno scrittore, ti risponde che ha voluto scrivere sin da quando era bambino, da quando a scuola gli hanno insegnato a mettere insieme i “pensierini” e ha scoperto che ad appiccicarli nel modo giusto veniva fuori una storia.
“L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” è uscito nel 2015, portando il tuo, di nome, alla ribalta. Come è nata l’idea per questa storia?
Io nella vita sono redattrice, traduttrice ed editor. Significa che vivo immersa nell’ambiente editoriale e che ogni giorno, o quasi, assisto a scene peculiari, intriganti e spesso esilaranti che hanno per protagonisti autori, redattori, lettori. Da lì a provare il desiderio di scrivere qualcosa che ritraesse questo mondo in cui non ci si annoia mai, il passo è stato breve! (Cioè, non è stato breve per niente, perché lavoro nell’editoria dal 2002 ma mi sono decisa solo nel 2014… ma ci siamo capiti).
Il romanzo è edito da Garzanti. Ci racconti com’è andato il tuo incontro con la casa editrice? A chi si deve, insomma, la scoperta di Alice Basso?
In verità non ho contattato io Garzanti. Io ho spedito il mio inedito a un agente e ho lasciato che ci pensasse lui. Dopo qualche giorno sono stata ricontattata e l’agente, di ottimo umore, mi ha detto che il libro era piaciuto e che “Se ero d’accordo” avrebbero iniziato a proporlo agli editori. Mi ricordo che ho reagito esclamando: “Come sarebbe a dire ‘se sono d’accordo??”. Quando poi l’agente mi ha ricontattata dicendo: “Vai a dare un’occhiata nella tua casella di posta, dovresti trovarci una sorpresa” e ho scoperto che mi aveva appena inoltrato la proposta contrattuale di Garzanti, ci sono rimasta secca!
Hai sempre saputo di voler proporre il tuo lavoro a un editore tradizionale oppure avresti preso in considerazione anche altre strade – ad esempio il self?
Mi è difficile essere convincente nel dirlo, perché io sono una creatura dell’editoria – ci lavoro cinquanta ore la settimana! -, però non ho nulla contro il self publishing, se è fatto bene e soprattutto se non significa che uno scrittore, accecato dall’euforia, getta i suoi lavori in pasto al pubblico senza nemmeno rileggerli, o farli rileggere a qualcuno. Meglio comunque il self publishing – anche fatto male – di certi editori a pagamento, che non solo non contribuiscono minimamente in termini di editing e distribuzione, ma in più chiedono soldi per un lavoro che non fanno.
Quello che colpisce dei tuoi libri è prima di tutto la protagonista. C’è qualcosa di te, nella ghostwriter e adesso anche consulente poliziotta Vani Sarca?
Qualcosa sì e qualcosa no. Abbiamo più o meno la stessa età (cioè, lei è più giovane di un paio d’anni, ma possiamo arrotondare, giusto? GIUSTO?), facciamo più o meno lo stesso lavoro (anche se io non sono proprio una ghostwriter, né credo che vorrei esserlo) e siamo entrambe schiave della battuta sarcastica, anche quando la capiamo solo noi. Vani però è una sociopatica scontrosa che si veste sempre di nero; io, invece, sono una specie di Memole, tendenzialmente sempre allegra.
Il parallelo con Lisbeth Salander, l’eroina dei thriller nordici di Stieg Larsson, nasce spontaneo, non fosse che per le tendenze dark di Vani e per il suo modo di vestire e rapportarsi col mondo. Hai letto la Trilogia Millennium? E le somiglianze sono casuali, oppure volute?
Le somiglianze sono volutissime! Ma non per un particolare fanatismo nei confronti di Lisbeth, sebbene sia un personaggio che ha fatto epoca. Si tratta di un vezzo, di un giochino letterario: facendo la ghostwriter, Vani è sempre un po’ il piano B di qualcuno, ossia degli autori che poi firmano i suoi libri, e nella cui testa lei deve immedesimarsi ed entrare. Con questa condanna al mimetismo nella professione, almeno nella vita privata la nostra eroina cerca di affermare la propria personalità, e lo fa vestendosi e pettinandosi, da quando aveva quindici anni, in modo aggressivo, evidente… e uguale, suo malgrado, a quello che Lisbeth Salander porterà alla ribalta con la pubblicazione di Millennium. Insomma, quando incontriamo Vani, nel primo libro, lei continua ostinatamente ad avere quel look, ma si è ormai rassegnata al fatto che tutti la prendano per una che copia la Salander. E prima di arrivare ad affermare davvero la propria personalità, pur non tradendo se stessa, Vani impiegherà un bel po’ di pagine.
Il 12 maggio 2016 è uscito in libreria “Scrivere è un mestiere pericoloso”, secondo capitolo della serie, dove hai deciso di affrontare un genere gettonatissimo in questo periodo: il libro di cucina, tra ricette e ricordi. Perché pensi che questo genere sia così di moda? E quanto è stato complicato far calare Vani in quel mondo tanto lontano dal suo modo di essere?
Io personalmente ho delle teorie super-polemiche sulla moda contemporanea della cucina, così polemiche e acide che nel libro le ho messe in bocca a un personaggio antipatico, eh eh. Ecco, io apprezzo moltissimo il lavoro dei cuochi e degli chef (non fosse altro perché adoro mangiare), ma il fatto che in televisione non si faccia che spignattare (in televisione?!? È rimasto un qualche luogo in cui non si sentano sapori, odori, consistenze? E non è assurdo tutto questo?), o che esistano centinaia di romanzi in cui una donna, schiacciata dalla vita, infallibilmente rifiorisce grazie a un corso di cake design, mi strappano il sarcasmo dalle dita. Comunque il genere letterario di cui si parla nel libro è un pelo diverso e fortunatamente più raffinato: non un banale ricettario ma un ricettario biografico, in cui ogni ricetta funge da pretesto per una divagazione nel memoir. E ne esistono moltissimi, di veri, come quelli di Sophia Loren e di Ugo Tognazzi.
Il romanzo si chiude e non si chiude. Come già nel tuo esordio, nel lettore resta infatti il desiderio di sapere cosa sarà successo dopo alla protagonista, dal momento che, se il caso è chiuso, la sua vita sembra tutt’altro che sistemata. Possiamo azzardare che il prossimo anno uscirà un terzo libro con il tuo nome in copertina?
Lo spero! Quando ho proposto il primo libro ho pensato: “Se oso, oso fino in fondo”, e ho osato, appunto, presentarlo come il possibile primo episodio di una serie (che, questo va detto, non m’immagino infinita). È andata bene… e così sono in procinto di consegnare alle mie bravissime editor di Garzanti il terzo capitolo.
In questo periodo sei in giro per l’Italia a promuovere il libro. Un aneddoto divertente della vita da scrittrice in tour?
Ultimamente il mio preferito è questo: un giorno due ragazze – fra l’altro, simpaticissime – di ventun anni si sono avvicinate, dopo una presentazione, ma, anziché venire a scambiare due chiacchiere come succede di solito, si sono fermate a qualche passo di distanza, a confabulare fra di loro, titubanti. Ho chiesto cosa le turbasse e finalmente una delle due si è decisa a farmi la fatidica domanda: “Ma il commissario Berganza, quanti anni ha?”. “Cinquanta, quasi cinquantuno”, ho risposto. E sui loro visetti di ventunenni, sottolineo ventunenni, è apparso lo sconforto… perché significava che non avrebbe MAI potuto avere una storia con la protagonista, come speravano, in quanto palesemente troppo vecchio! Ho spiegato loro che mi faceva molto piacere che si immedesimassero così in Vani, ma ehi, lei ha trentaquattro anni, e a trentaquattro anni un uomo di cinquanta non sembra poi questa cariatide.
E il commento più bello – e la critica più aspra – che ti sono stati rivolti in questi oltre dodici mesi di attività?
I miei commenti preferiti sono due e li posso dire senza la minima esitazione: “L’ho letto d’un fiato” (perché io sono una logorroica di natura, e se lo stile scorre vuol dire che ce l’ho fatta e ho lavorato bene di forbici) e, soprattutto, “Aspetto il prossimo”. Sul fronte critiche, premesso che ho avuto (ancora una volta) la gigantesca fortuna di avere a che fare con recensori tutti molto indulgenti e bendisposti, mi è stato fatto notare che i librai non sanno bene dove collocare i miei libri e per ragioni pratiche finiscono per piazzarli fra i gialli, ma la sotto-trama investigativa del primo libro era leggermente sotto-sviluppata per giustificare quella collocazione. Siccome i gialli mi piacciono molto, e in particolare mi piace quel gioco di incastri che girano bene che ci si gusta nei gialli classici, con il secondo libro mi sono impegnata di più per non deludere quella fetta di lettori (e anche perché sarebbe stato divertente). E infatti lo è stato!
In Italia gli scrittori esordienti e gli aspiranti tali sono davvero tantissimi. Che consigli ti sentiresti di dare a questa piccola tribù che sogna di pubblicare, un giorno, un libro?
Ora parlerò più da lavoratrice di casa editrice (e spesso coinvolta nel processo delle valutazioni) che da autrice. Più che dilungarmi su come scrivere un libro efficace, argomento sul quale io stessa non so ancora quanto abbia le idee chiare e su cui nomi di grandissima fama hanno scritto molto più di quello che potremmo fare noi qui, a me piacerebbe soffermarmi sull’importanza di una buona lettera di presentazione. Sapersi presentare in poche righe, ma esaurienti, che facciano trasparire simpatia senza però risultare né troppo presuntuose né troppo umili, e sapere presentare il proprio lavoro sottolineando senza pedanteria perché un editore dovrebbe prenderlo in considerazione, e non un editore qualsiasi ma proprio quell’editore lì!, facendo leva sulle affinità del proprio libro con gli altri che l’editore ha in catalogo, eccetera, sono tutte cose che aprono moltissime porte e che si possono tranquillamente imparare.
Si sente spesso dire che di cultura non si mangia. Tu, da parte tua, come fai a pagare le bollette?
Lavorando una cinquantina di ore a settimana per le case editrici con cui collaboro e non tirandomi indietro quando c’è da andare in giro per attività promozionali. A un esordiente direi senza dubbio di allenarsi a far convivere la scrittura con altre mansioni lavorative, perché in Italia è vero che raramente di scrittura si campa, e il primo requisito per essere uno scrittore professionista è… riuscire anche ad essere professionista in qualcos’altro. È molto importante trovare il modo e il tempo per scrivere anche mentre si fa un altro lavoro per portare a casa la pagnotta.
Al momento ti godi il meritato riposo oppure stai già lavorando a qualcosa di nuovo?
Come accennavo prima, il terzo romanzo è in cantiere – anche se è un cantiere che, a causa dei giri promozionali per il suo fratello maggiore neo-pubblicato, ha subito una battuta d’arresto che manco la Salerno-Reggio Calabria. Dovrò darmi una mossa! D’altra parte, ho voluto la bicicletta, cioè scrivere una serie, e ora devo pedalare, cioè dare una continuità, una cadenza regolare, agli episodi che escono.
E in futuro pensi di continuare con la serie di Vani Sarca oppure ti piacerebbe anche cimentarti con qualcosa di diverso?
Pur amando moltissimo Vani, 1) Non voglio che la sua storia diventi una di quelle interminabili telenovelas che proseguono all’infinito, e 2) C’è un sacco di roba che mi piacerebbe fare, un sacco di storie che mi ronzano in testa. Quindi, chissà. La mia idea di felicità è che qualcuno mi dica: “Vai, hai carta bianca, scrivi quello che vuoi”.
Grazie ad Alice Basso per essere stata con noi, e in bocca al lupo per i suoi progetti, e la sua serie.