Intervista a Paolo Taviani: il rapporto con il fratello Vittorio, l’arte, i film

A Londra per presentare il suo ultimo film, "Una questione privata", il regista italiano si racconta

Quando una giornalista in erba incontra un mostro sacro del cinema italiano come Paolo Taviani l’impressione è che non si stia tanto realizzando un’intervista, ma piuttosto una conversazione in cui c’è tanto da imparare.

Insieme al fratello Vittorio, scomparso di recente, ha saputo raccontare l’Italia e i suoi cambiamenti, mettendo al centro l’uomo, in pellicole come “La notte di San Lorenzo”, “Kaos”, “Cesare deve morire”.

L’ultimo lavoro in ordine di tempo è “Una questione privata” (qui la recensione), adattamento del romanzo postumo di Beppe Fenoglio, che racconta lo scontro tra l’uomo e la storia sullo sfondo della guerra partigiana.

Il film ha aperto l’ultima edizione del festival Cinema made in Italy di Londra. Ed è proprio in questa occasione che abbiamo incontrato Paolo Taviani, per parlare di film, regia e ideali.

 

Intanto, la ringrazio per essere qui con noi. Comincio da una domanda di rito: come ci si sente a presentare un film a Cinema made in Italy?

Presentare un film è un’istituzione che è nata da trent’anni. Prima non si faceva così. Io mi ricordo che, da giovani, io e Vittorio amavamo molto Visconti, Rosselini, De Sica, e non li abbiamo mai visti né sentiti presentare le loro opere. Ora invece fa parte del lavoro, ma è una cosa imbarazzantissima perché io ho scelto di parlare attraverso il cinema e non capisco perché devo spiegare quello che ho fatto. Cosa volevo fare o cosa volevo raccontare sono già lì, dentro il film, magari se ne può discutere, ma anche il dibattito è sempre una forzatura. Un regista dovrebbe fare un film e poi sparire. Nonostante il controsenso, lo faccio volentieri perché vedi che c’è un pubblico che te lo chiede, un dialogo, amore per il cinema. Se c’è un pubblico a cui il film è piaciuto, ma anche quando non è così, si crea un dibattito e io, poi, sono abbastanza bellicoso quando sono criticato.

Luca Marinelli, Valentina Bellè e Lorenzo Richelmy, protagonisti di “Una questione privata” dei fratelli Taviani. (2017)

“Una questione privata” è il suo quinto film che prende il là da un’opera letteraria. In che modo la letteratura ha influenzato e contribuito allo sviluppo della sua narrativa cinematografica?

Io credo nella collaborazione tra le arti. Leggendo alcuni racconti di Pirandello o di Tolstoj, io e mio fratello ci siamo sentiti ispirati dagli elementi narrativi o dai pensieri che ci aiutavano a tirare fuori i nostri sentimenti e pensieri del momento. In quella narrazione sentivamo di poter parlare del nostro presente. Per esempio, Stanley Kubrick ha sempre girato film ispirati a libri perché sosteneva che nel testo scritto c’erano delle strutture solide che potevano essere usate per costruire quello che lui voleva dire o fare, per non sciupare tutta la sua fantasia e la sua creatività nella fatica di mettere su queste colonne. Ci si ispira alla letteratura per trasmettere emozioni che durano nel tempo, non per illustrare qualcosa. Illustrare è una funzione che ha la televisione, per esempio; ma per me e mio fratello l’incontro con la letteratura è un’altra cosa.

Alcuni hanno definito l’incontro con Fenoglio inevitabile. Ce ne potrebbe parlare? Perché è avvenuto solo adesso, nonostante le tematiche del romanzo si sposino molto bene con la sua idea di cinema?

Per quanto riguarda Fenoglio, siamo innanzitutto contenti di averne parlato perché è un autore che abbiamo amato immensamente ma che in Italia non è considerato per niente. Se vai in una scuola e chiedi chi è Manzoni tutti lo sanno, Fenoglio forse no. Si tratta di un autore che in vita non ha avuto i riconoscimenti che meritava, ma per me e Vittorio è il più grande scrittore del dopoguerra insieme a Calvino e forse è anche uno dei più grandi del Novecento in generale. Ci abbiamo messo tanto tempo per arrivare a lavorare su un suo romanzo perché, da un lato eravamo sempre troppo impegnati, dall’altro non c’erano mai i diritti. Poi, un giorno, ero sull’isola di Salina, ho acceso la radio e ho sentito Omero Antonutti che leggeva “Una questione privata”. Questa lettura mi ha trasmesso inquietudine e commozione, il desiderio di saperne di più. Alla fine ho chiamato Omero per ringraziarlo, e lui mi ha detto che due minuti prima anche mio fratello Vittorio, che era a Roma, lo aveva chiamato per dirgli le stesse cose. Tra me e Vittorio c’è sempre stata una telepatia strana, un rapporto inesplicabile, e questa circostanza ci ha spinto a riprendere in mano il progetto su Fenoglio. Abbiamo voluto avvicinarci all’opera con grande libertà: nonostante l’amore per lo scrittore, nei nostri film gli autori siamo noi.

Paolo Taviani, a destra, con il fratello Vittorio, scomparso il 15 aprile 2018.

Su di me questo vostro lavoro è riuscito, il film è molto bello e commovente.

Mi fa piacere.

In un’intervista precedente ha dichiarato che ogni storia è un sacco che va riempito con le proprie emozioni, e in questo caso è stato necessario una sorta di tradimento, perché il cinema è una forma di espressione diversa dalle letteratura. Cosa intende per “tradimento dell’originale”? Il fatto che nel film ci siano scene che nel libro non ci sono?

Non è che abbiamo aggiunto all’opera, ma come per gli altri autori sulle cui opere abbiamo lavorato in passato, siamo partiti dal testo per poi andare per la nostra strada. Per esempio, con Pirandello abbiamo cambiato i finali delle sue storie perché erano terribili, ma lui sarebbe stato d’accordo con noi. Come Pirandello stesso dice, le idee e le storie sono dei sacchi, magari anche bellissimi, ma sono sacchi afflosciati a terra che se non riempi delle tue pulsioni non stanno in piedi.

Grazie mille per il suo tempo e la sua disponibilità.

Ciao, e buon lavoro!

 

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