Un film di Alberto Sironi, Luca Zingaretti. Con Luca Zingaretti, Cesare Bocci, Peppino Mazzotta, Antonia Truppo, Greta Scarano, Sonia Bergamasco. Commedia, drammatico, 117′. Italia 2021
Il commissario e i suoi uomini sono chiamati a fare luce sull’omicidio di un uomo, ucciso con una coltellata al petto. Tutto parrebbe condurre al giro dell’usura, ma troppe cose non tornano. Per venire a capo della matassa di indizi e assicurare alla giustizia il colpevole, Salvo dovrà andare oltre le apparenze e indagare nelle pieghe della vita del defunto e nelle sue “ossessioni” per il teatro e l’arte tragica. Intanto l’arrivo di una nuova giovane collega, Antonia, scuote profondamente Montalbano.
Quando, due anni fa, terminai la lettura di “Il metodo Catalanotti”, la mia prima esclamazione fu un secco: “Minchia, Maestro!”. Espressione colorita, lo so, ma legittima davanti a un finale inaspettato e sconvolgente. Perché voglio premetterlo, questa storia ha rappresentato un vero terremoto per i lettori.
Ho incominciato fin dal quel giorno a immaginare quali sarebbero state le decisioni della Rai e di Palomar riguardo agli attori che avrebbe composto il cast dell’inevitabile, futuro adattamento.
Poi il destino, nel giro di pochi mesi tra luglio e agosto del 2019, ci ha privati prima del maestro Camilleri, subito dopo del regista Alberto Sironi. Al terremoto letterario si è sommato lo shock emozionale per produzione e attori, portando a una lunga riflessione.
Luca Zingaretti ha accettato di completare la regia degli ultimi tre episodi della serie. I primi due (La rete di protezione; Salvo amato, Livia mia) li abbiamo già visti lo scorso anno; “Il metodo Catalanotti”, quello più atteso, è stato congelato fino a oggi, 8 marzo. Una data di trasmissione che ha un forte valore simbolico e narrativo.
Le figure femminili storicamente hanno avuto una grande rilevanza nel mondo letterario di Camilleri. In questo caso, non solo le donne hanno un ruolo centrale ma rappresentano il motore narrativo della storia. Le loro azioni dettano i tempi e gli sviluppi nella parte thriller, e che dire dell’incidenza che hanno sulla sfera personale di Montalbano.
“Il metodo Catalanotti” stravolge il quieto vivere pubblico e privato del celebre Commissario, spiazzando lo spettatore, ormai abituato a un consolidato e piacevole schema di racconto. Un cambiamento, apparentemente traumatico, che gli sceneggiatori hanno saputo adattare alle esigenze televisive con ironia e bravura, riprendendo fedelmente il testo di Camilleri.
Andrea Camilleri era, prima di ogni altra cosa, un uomo di teatro, e il suo romanzo riesce a trasmettere tutto l’amore per questo luogo magico, dove si riesce a rappresentare la complessità dell’animo umano. Non è un caso che una storia “teatrale” venga utilizzata come palcoscenico per la rivoluzione gentile e profonda di Montalbano.
Perché al di là del giallo propriamente detto, ben costruito ma tutto sommato prevedibile, “Il metodo Catalanotti” è soprattutto il punto di non ritorno per Salvo. E quello che al pubblico interessa davvero scoprire è cosa deciderà di fare lui. Resterà con l’amata Livia, sulla strada “vecchia”, oppure si lascerà travolgere dalla passione per la bella Antonia (Scarano)?
Con “Il metodo Catalanotti”, Andrea Camilleri ci ha regalato il più inaspettato e riuscito dei colpi di scena teatrali, costruendo un finale aperto quanto poetico. Un finale che il regista ha reso visivamente emozionante, grazie anche alla potente alchimia trasmessa dalla coppia Zingaretti-Scarano (molto brava a trovare la giusta chiave interpretativa per un personaggio così dirompente).
E che lascia lo spettatore a chiedersi quale sia davvero il senso della parola amore. E se per questo sentimento si possano anche buttare all’aria legami lunghi decenni. Fosse solo per sentirsi dire: “Ora ci siamo noi”.