“Il grido della rosa”: recensione del romanzo di Alice Basso

Dopo "Il morso della vipera", Garzanti pubblica il secondo capitolo delle avventure di Anita

Dopo aver (momentaneamente? per sempre?) salutato il personaggio che le ha regalato la popolarità, Alice Basso ha deciso di cimentarsi con una nuova serie, ambientata sempre a Torino, ma negli anni ’30. La protagonista, questa volta, non è una ghostwriter decisamente sopra le righe, ma una giovane e bella dattilografa…

Lo scorso anno, in “Il morso della vipera”, abbiamo conosciuto Anita Bo, la sua famiglia, il fidanzato prestante. E l’abbiamo vista muovere i primi passi all’interno della redazione della rivista di gialli “Saturnalia”. In Il grido della rosa, uscito il 20 maggio per Garzanti, riprendiamo il filo del racconto praticamente da dove lo avevamo lasciato…

Torino, 1935. Mancano poche settimane all’uscita del nuovo numero della rivista. Anita è intenta a dattilografare con grande attenzione: ormai ama il suo lavoro, e non solo perché Sebastiano Satta Ascona, che le detta la traduzione di racconti americani pieni di sparatorie e frasi a effetto, è vicino a lei. Molto vicino a lei. Alla sua scrivania Anita è ancora più concentrata del solito, perché questa volta le protagoniste sono donne: donne detective, belle e affascinanti, certo, ma soprattutto brave quanto i colleghi maschi.

Ad Anita sembra un sogno. A lei, che mal sopporta le restrizioni del regime, che ha rimandato il matrimonio per lavorare, che legge libri proibiti che parlano di indipendenza, libertà e uguaglianza. A lei, che sa che quello che accade tra le pagine non può accadere nella realtà. Nella realtà, ben poche sono le donne libere e che non hanno niente da temere: il regime si fregia di onorarle, di proteggere persino ragazze madri e prostitute, ma basta poco per accorgersi che a contare veramente sono sempre e solo i maschi, siano uomini adulti o bambini, futuri soldati dell’Impero.

E così, quando Gioia, una ragazza madre, viene trovata morta presso la villa dei genitori affidatari di suo figlio, per tutti si tratta solo di un incidente: se l’è andata a cercare, stava di sicuro tentando di entrare di nascosto. Anita non conosce Gioia, ma non importa: come per le sue investigatrici, basta un indizio ad accendere la sua intuizione. Deve capire cosa le è successo veramente, anche a costo di ficcare il naso in ambienti nei quali una brava ragazza e futura sposa non metterebbe mai piede. Perché la giustizia può nascondersi nei luoghi più impensabili: persino fra le pagine di un libro.

Dei romanzi di Alice Basso – sì, di tutti quelli che ho letto fino a oggi, e di cui trovate su Parole a Colori le recensioni – mi piace il fatto che sono divertenti ma capaci anche di affrontare questioni serie e spinose con grande tatto e umanità; che sono ironici ma a loro modo profondi; e che sono scritti molto bene, con uno stile piacevolissimo da leggere.

La Basso sa giocare con le parole, ed è capace di creare personaggi a loro modo macchiettistici senza risultare davvero macchiestica. Anita, Candida, Sebastiano ma anche i comprimari e le semplici “comparse” non sono perfetti, hanno pregi e difetti, sono a loro modo dei tipi – la bella che balla, la rispettabile signora inserita in società che in realtà è una fiera avversaria del regime, l’intellettuale ammanicato che nasconde un animo antifascista – ma risultano comunque credibili, fanno sorridere e non storcere la bocca perché implausibili. 

Questo tono scanzonato di fondo è la cifra caratteristica dei romanzi di Alice Basso. Ma se scrivere di un’eroina contemporanea di nero vestita e dalla lingua tagliente giocando con il registro dell’ironia e prendendo, bonariamente e non, in giro un po’ tutti, non era così rischioso, riproporre la cosa in un contesto come gli anni ’30 in Italia lo era decisamente di più.

La Basso non ha avuto paura di rischiare, di “lasciare la strada vecchia per la nuova”, e al momento, secondo me, dimostra di aver fatto bene. I suoi libri sono una boccata d’aria fresca, piacevolissime parentesi da cui lasciarsi catturare. Tra le pagine il periodo storico rivive in tutte le sue contraddizioni e storture, preciso e non infiocchettato, ma comunque proposto in una chiave più “leggera” che ci permette, nonostante tutto, di leggerne col sorriso sulle labbra. 

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