Un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bradley Cooper, Taissa Farmiga, Alison Eastwood, Michael Peña. Drammatico, 116′. USA 2018
Earl Stone, floricoltore dell’Illinois, è specializzato nella cultura di un fiore effimero che vive solo un giorno. A quel fiore ha sacrificato la vita e la famiglia, che di lui adesso non vuole più saperne. Nel Midwest, piegato dalla deindustrializzazione, il commercio crolla e Earl è costretto a vendere la casa. Il solo bene che gli resta è il pick-up. La sua attitudine alla guida attira l’attenzione di uno sconosciuto, che gli propone un lavoro redditizio. Un cartello poco convenzionale di narcotrafficanti messicani, comandati da un boss edonista e gourmand, vorrebbe trasportare dal Texas a Chicago grossi carichi di droga. Earl accetta senza fare domande, caricando in un garage e consegnando in un motel. La veneranda età lo rende insospettabile e irrilevabile per la DEA. Veterano di guerra convertito in ‘mulo’, Earl dimentica i principi di fiero difensore del Paese per qualche dollaro in più. Ma la strada è lunga.
Alla soglia dei novant’anni, Earl Stone viene privato da un pignoramento della sua ragion d’essere: il lavoro di orticultore, per cui ha sacrificato tutto, persino la sua famiglia. Per aiutare la nipote, l’unica con cui ha mantenuto buoni rapporti, accetta un lavoro apparentemente semplice e innocuo: trasportare uno zaino per qualche chilometro fino a un motel.
Iniziano così le sue traversate del Paese a bordo di un’auto per conto di un’organizzazione di narcotrafficanti messicani, protetto dai sospetti dall’età avanzata. Ma Earl non si accontenta e finisce per entrare nel mirino dei segugi della DEA, capeggiati da Bradley Cooper.
Il gioco del gatto col topo che si origina ne “Il corriere – The mule” di e con Clint Eastwood ricorda da vicino quello presente in “The old man and the gun”, dove era Casey Affleck a inseguire Robert Redford, sullo schermo per un’ultima volta nei panni di un vecchio rapinatore di banche.
I due film, effettivamente, hanno molto in comune, a partire da un elemento in parte ironico in parte dolcemente amaro: il rifiuto di invecchiare, di darsi per vinti e di decretarsi “in pensione”.
Tornando al film di Eastwood l’ho trovato ben scritto, nonostante un finale prevedibile e previsto e qualche passaggio frettoloso, con un cast molto convincente e fondamentale per ricreare un’atmosfera intima quanto concitata, godibile, a tratti persino commovente.
Nella storia vengono contrapposte due famiglie: quella “normale” che Earl si è lasciato alle spalle per concentrarsi solo sul lavoro, e quella della banda messicana con cui entra in contatto per affari. Il vecchio, nonostante rappresenti un ponte tra i due mondi, non appartiene davvero a nessuno, e si crea così un suo insieme d’intersezione in cui vivere, sopravvivere e divertirsi, senza avvertire sulle spalle il peso dei suoi – tanti – anni.