Fin dal giorno della sua uscita, il 24 gennaio, e anche prima, “Il censimento dei radical chic” di Giacomo Papi, edito da Feltrinelli, ha occupato le pagine di blog, magazine e quotidiani. C’è chi lo ha definito un capolavoro, chi tutto fumo e niente arrosto.
Soprattutto, in tanti hanno criticato il caso mediatico che ci è stato montato intorno, definendolo, appunto, una montatura, una mera mossa di marketing. Perché il libro, in sé per sé, non ha niente di più e niente di meno di tanti altri che escono sotto silenzio.
Come mio solito, ho aspettato di aver letto il libro in questione, prima di esprimere un giudizio. Che dire, io ho trovato “Il censimento dei radical chic” geniale. E non tanto – o non solo – per la storia che racconta e per l’ambientazione, di cui parleremo tra un attimo, ma per la sua capacità di spingere, attraverso una storia “distopica”, alla riflessione sulla società contemporanea.
Sfido chiunque dotato di un briciolo di spirito critico a terminare la lettura senza porsi una domanda, senza sviluppare un pensiero sul presente e le possibili derive che questo potrebbe prendere. Senza, magari, riflettere su come evitare che questo scenario “apocalittico” di verifichi.
In un’Italia futura – ma terribilmente vicina – la cultura è diventata un peccato da nascondere, l’ignoranza una dote da sbandierare. Parlare in modo ricercato è un mezzo per confondere le persone “normali”, quelli che “di giorno si spaccano la schiena e la sera hanno tutto il diritto di rilassarsi e non sentirsi inferiori”. Per questo il professor Prospero, colpevole di aver citato Spinoza in un talk show, viene ucciso barbaramente. E in tanti dicono che se l’è cercata…
L’ambientazione è futuristica, ironicamente distopica, eppure per diversi elementi fa pensare al passato. Un Registro dove inserire persone sgradite, persone “diverse” vi fa venire in mente qualcosa? La discriminazione imposta dall’alto? Se un tempo i perseguitati erano zingari o ebrei, oggi tocca agli intellettuali!
Al di là dei – brutti – parallelismi che ci vengono in mente con l’operato dei regimi totalitari del Novecento, è a mio avviso importante riflettere sulla componente culturale e linguistica della vicenda. La ricchezza del linguaggio dovrebbe essere vista come qualcosa da difendere, invece il Governo del libro la scoraggia, istituendo addirittura un’apposita commissione per sfrondare il Vocabolario e mettere al bando termini difficili, desueti o poco chiari.
Follia, direte voi. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Che questa semplificazione non stia già avvenendo? Oggi i linguisti denunciano la progressiva scomparsa dall’uso di congiuntivi e condizionali. Di libri ne leggiamo sempre meno. I social sono il regno della propaganda becera, dell’insulto gratuito e dell’invettiva.
Che dire dell’esaltazione della non cultura. L’idea che studiare non serva a niente, che chiunque possa fare qualsiasi cosa si diffonde a macchia d’olio. A che serve una laurea, se posso già così scrivere il mio blog su internet e fare tendenza? E che importa se il blog è scritto in un italiano scorretto e sgrammaticato…
“Il censimento dei radical chic” fa riflettere sul presente e su quello che ci aspetta in futuro. Lo fa con ironia, con uno stile godibile, attraverso una storia che sa anche essere avvincente. Un libro da leggere secondo me, anche per l’esiguo numero di pagine.
E se questo non bastasse, leggetelo perché la versione riveduta e corretta usando il nuovo vocabolario della lingua italiana approvato dal Governo di “L’infinito” di Leopardi e soprattutto del Canto V della Divina Commedia di Dante meritano da soli lo sforzo.