I Dissidenti, Sara Zelda Mazzini

In un presente parallelo il mondo che conosciamo è agitato da una guerra tanto invisibile quanto spietata. Madena, detta Mad, è una giovane donna che vive sospesa tra la ricerca di risposte a continue e pressanti domande e i bisogni di una famiglia ingombrante, composta dalla madre, la zia e il fratellino di sei anni. È un’era di anticonformismo a tutti i costi, in cui il nemico da combattere si identifica inevitabilmente con una comunità di individui ordinari che vive secondo valori tradizionali come il lavoro manuale, e rifiutando la celebrità. La ricerca di Mad la condurrà tra le rovine di un vecchio manicomio, da cui i Dissidenti si oppongono allo spirito del tempo con le loro stesse vite. Ma il destino ha già installato in questo luogo anche un oscuro personaggio, e l’inevitabile approfondirsi del rapporto con Mad farà emergere incubi ancestrali dal fondo della loro coscienza, portando alla luce un antico mistero. 

I Dissidenti

I Dissidenti” è un libro complesso, sotto tutti i punti di vista, costruito giustapponendo punti di vista, piani temporali e cronologici. Le domande che, leggendo, ci poniamo, trovano risposte soltanto sul finire, si svelano a noi in modo progressivo, con andamento quanto meno contrastato.

Un libro complesso da leggere, complicato da scrivere. Quando si arriva all’ultima pagina e si mette il punto fermo alla storia non si può non provare ammirazione per quest’autrice, Sara Zelda Mazzini, capace di creare un’architettura così complicata, intricata, incredibile.

Il quadro è composto essenzialmente da due mondi contrapposti. La storia si apre sul “fuori”, il nostro mondo funestato da una fantomatica guerra, dove gli uomini tornano mutilati, quando tornano, e le donne devono darsi da fare per sopravvivere. Un mondo diverso da quello che conosciamo, più spaventoso, complesso. Da un lato la vita è più avanzata tecnologicamente, ma dall’altro c’è quasi un ritorno alla preistoria – questa almeno è stata l’impressione che ho avuto io, leggendo ad esempio delle sfide tra giovani nel vecchio locale bruciato, ma è un romanzo che va letto perché le vostre impressioni potrebbero essere totalmente diverse. L’ambientazione italiana aiuta nell’immedesimazione – nel mio caso, essendo toscana, la cosa si è spinta ancora più avanti, ad esempio nelle parti dove si parla dell’autogril Cantagallo, vero e proprio crocevia di tutti i viaggi che chi vive al centro ha fatto e fa verso il nord.

Contrapposto a questo “fuori” problematico e talvolta incomprensibile, è il “dentro”, la comunità dei Dissidenti che ha scelto come residenza un vecchio manicomio situato a Volterra, il San Girolamo. Ci sarebbero molte cose da dire su questo microcosmo autogestito e autosufficiente che si è raccolto intorno alla figura carismatica di Syd Duncan, ex rock star americana – ad esempio i rimandi alla vita dei pazienti che un tempo vivevano internati in quelle stesse strutture, così sofferti, vividi, da brivido.

Mi limiterò a evidenziare il ruolo centrale che nella vita del gruppo – e nella storia – gioca la musica. I Dissidenti, oltre a svolgere i diversi compiti utili per la vita comune (lavare i vestiti, cucinare, coltivare la terra), dedicano tempo ed energie al canto e alla pratica con gli strumenti. All’interno della comunità si sono formate delle band, si tengono lezioni e anche spettacoli. Ma tutto questo non ha solo un fine ricreativo: la musica rappresenta infatti un elemento estremamente potente, nell’architettura della storia. Ciascuno di noi ha delle canzoni che toccano corde profonde, che interpretate in certe circostanze e soprattutto da certe persone diventano delle vere e proprie nemesi. Nemesi che possono ferire, che possono persino portare alla morte. Per questo i Dissidenti si esercitano, per imparare a diventare immuni dalla forza distruttiva della musica.

Tra storie intrecciate, personaggi incredibili, paradossali, mostruosi, quindi, l’autrice è riuscita anche a creare una mitologia tutta sua all’interno di una mitologia più grande e conosciuta, quella nordica.

A reggere questa costruzione così importante e ambiziosa uno stile particolare, maturo. Una buona trama può crollare, se non è supportata da un linguaggio adatto. In questo caso trovo che le due componenti – storia e stile – si completino a vicenda. Sara Zelda Mazzini utilizza una scrittura evocativa, talvolta criptica, che però assembla elementi alti ed elementi bassi al fine di creare un’impressione vivida e potente nel lettore.

L’appartamento di Zia Luce si trova al centro di una schiera di villette apparse di recente come un grappolo di cellule cancerose sul fianco di una strada principale, con orribili inferriate alle finestre, e un portone blindato che dà l’impressione di accedere a un’enorme cassaforte. [Track n.1]

Capita più volte di storcere il naso, davanti ai suoi paragoni mirabolanti, ma alla fine della storia il modo dell’autrice di presentare le cose, di dar voce all’interiorità dei suoi personaggi ti resta impresso.

Così come ti restano impresse alcune considerazioni di carattere generale, sulla vita, sulla società, sul mondo che consideriamo casa.

L’America, capite, è un dogma bello e buono. Funziona così: prendere o lasciare. Dobbiamo accettare il pacchetto a scatola chiusa e trovare che tutto quello che arriva dall’altro lato dell’oceano sia assolutamente il massimo. È un’isteria collettiva che hanno creato loro, gli americani stessi, quando un giorno si sono svegliati e hanno capito che non avevano un cazzo di niente: non avevano una storia, non avevano una cultura, e la loro identità arrivava dritta dalla vecchia Europa. Allora hanno iniziato a cercare in tutti i modi di crearsene una nuova. Così, mentre l’Inghilterra lancia la moda vittoriana, l’America risponde con il jazz. [Track n.4]

Se vogliamo trovare un difetto ai “Dissidenti” – che a mio parere resta una lettura incredibile – questo è nel ritmo che contraddistingue il libro per molte pagine. Mad lascia la sua famiglia, entra a far parte della comunità che si è riunita nel frenocomio di Volterra. E dopo? Per larga parte della storia ci si domanda dove si andrà a parare, quando ci sarà la svolta… Solo che la svolta non arriva, non in senso classico, almeno. Come lettori siamo abituati a storie dove, dopo la presentazione dei personaggi, si entra nel vivo dell’azione e la trama si sviluppa. Accadono cose, si svela la direzione che l’autore vuole dare alla narrazione. Si capisce dove chi scrive vuole andare a parare. Qui questo non succede. Si supera la metà del libro e ancora la narrazione non ha preso nessuna direzione, si continua a stazionare tra i pensieri di Madena, ad addentrarci tra presente e passato remoto, senza sapere se ci sarà mai un antagonista, un’azione, qualcosa di classico a cui appigliarsi.

Leggere un libro come questo non è semplice, principalmente per il motivo che ho scritto sopra. In quanto lettori contemporanei ci aspettiamo un andamento “lineare” della storia, una storia che si sviluppi secondo certe direttive. Questo nei “Dissidenti” non succede e la prima sensazione che si prova è quella di disorientamento. Però è un disorientamento positivo, qualcosa che ti cattura.

Non è un libro facile da leggere, quello della Mazzini, così come non deve essere stato semplice da scrivere. Però è una fatica che ripaga. È uno di quei libri che, una volta finito, ti restano dentro. Di quelli che hai bisogno di tempo, prima di iniziare la lettura successiva. Perché i personaggi e la trama si sono ritagliati uno spazio dentro di te, e non te la senti di sostituirli con altri personaggi, con altre storie. Vuoi conservare l’impressione di meraviglia e di stupore ancora per un po’.

Vi lascio con un’ultima citazione, che mi ha colpita, su cui ancora adesso sto rimuginando su. E vi consiglio di leggere il libro, perché potrete trovare molti spunti interessanti oltre a una storia coinvolgente.

Forse è questo che ci frega delle storie d’amore: ci fanno sentire in vacanza. Per quanto ci sforziamo di credere che dureranno in eterno, non riusciamo a immaginarle lungo tutto una vita. [Track n. 7]





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