Uno dei romanzi più attesi di questo inizio di 2019, “Gli scomparsi di Chiardiluna“ di Christelle Dabos, edito da E/O, riprende la narrazione esattamente da dove ci eravamo lasciati con il primo capitolo della quadrilogia, “Fidanzati dell’inverno” (qui la recensione).
In un universo fantastico dove la Terra è inabitata, 21 arche le gravitano intorno e il genere umano è dotato di ogni genere di potere, la giovane e goffa Ofelia – capace di leggere il passato degli oggetti toccandoli e di attraversare gli specchi – viene mandata sull’inospitale Polo per sposare l’attendente Thorn.
Mano a mano che il matrimonio si avvicina le cose per lei si fanno sempre più complesse, tra l’interesse dello spirito di famiglia del Polo, il candido e smemorato Faruk, le lettere anonime e minacciose che ha iniziato a ricevere, il comportamento scostante e freddo del promesso sposo. E non è tutto. Dall’ambasciata di Chiardiluna, teoricamente il posto più sicuro dell’intera arca, iniziano a sparire delle persone e le indagini rivelano che anche loro avevano ricevuto lettere minatorie firmate da Dio prima di scomparire nel nulla…
“Gli scomparsi di Chiardiluna” è un grande fantasy che certamente non delude le attese ma che risulta molto più maturo del capitolo precedente. Se infatti in quello – nonostante gli intrighi di palazzo, la morte violenta di quasi tutto il clan dei Draghi e qualche personaggio potenzialmente letale per la protagonista – Ofelia risultava ancora innocente e ingenua, e il lettore con lei, qui si percepisce il suo cambiamento, la sua maturazione.
L’atmosfera del libro è in generale più dark e drammatica, e personalmente ho trovato delle note quasi da horror nei passaggi dei “frammenti”, dedicati al passato di Faruk e degli altri Spiriti di famiglia, alla loro vita insieme e al rapporto con il fantomatico Dio.
Che in questi personaggi immortali, simili a divinità ma stranamente privi di memoria, e nei loro libri impossibili da leggere, ci fosse qualcosa di strano – e per ciò che mi riguarda, sinistro – era chiaro fin dal primo romanzo. Adesso, insieme a Ofelia, iniziamo anche a capire di cosa si tratta. Per la risoluzione del mistero ci sarà ancora da aspettare…
Anche in questo caso, se Ofelia e Thorn sono i protagonisti della storia (e come con “Fidanzati dell’inverno” ho apprezzato molto la gestione del loro rapporto, il fatto che il sentimento si sia formato piano piano, quasi inaspettatamente), i comprimari brillano di luce propria e non fanno decisamente la figura delle mere spalle.
Madama Berenilde si dimostra essere molto più di un’abile e glaciale intrigante. In una società dove il clan di appartenenza, la famiglia, è tutto, dipendere per la propria sopravvivenza solo sulle proprie forze e sulla protezione di una simil-divinità con la memoria corta è quanto mai stressante. In questo libro scopriamo anche la radice del grande dolore che si porta dentro, e avvertiamo il suo timore di non riuscire nuovamente ad essere una buona madre. Berenilde appare più umana, e il suo rapporto con Ofelia – e con la zia Rosaline – ne trae non poco giovamento.
L’ambasciatore Archibald, signore di Chiardiluna e membro di spicco del clan della Rete, anche ci appare sotto una nuova luce. Non solo un rubacuori con la risposta e il sorriso sempre pronto, ma un uomo solo – nonostante il legame costante con la sua famiglia. E che dire della sfuggente e geniale architetta Madre Ildegarda, del piccolo Cavaliere, dei familiari di Ofelia. Ognuno, anche chi compare solo di sfuggita, ha il suo carattere, le sue peculiarità, è un personaggio a tutto tondo e definito.
La scacchiera si è arricchita poi con nuovi personaggi, appartenenti a clan decaduti che alla fine del libro verranno riabilitati grazie a Thorn – gli Invisibili, i Narcotici e i Persuasivi – e probabilmente non sarà l’ultima volta che sentiremo parlare di loro.
Tra un marito scomparso, un fantomatico Altro fuggito dallo specchio al suo primo passaggio da fermare in qualsiasi modo per scongiurare la fine del mondo, il ritorno con la famiglia su Anima dove le Decane cercano di cancellare la memoria collettiva, c’è da scommettere che in “La memoria di Babel” ne vedremo ancora per le belle. Non resta che aspettare, presumibilmente, il prossimo anno.