“Ghostbusters: Legacy”: un sequel riuscito, ponte tra presente e passato

Jason Reitman mette personaggi giovani al centro del progetto, e non cade (troppo) nei cliché

Un film di Jason Reitman. Con Finn Wolfhard, Carrie Coon, Mckenna Grace, Annie Potts, Paul Rudd, Bill Murray. Azione, 124′. USA 2021

Due notizie raggiungono quasi contemporaneamente Trevor, Phoebe e la loro mamma: la morte del nonno che non hanno mai conosciuto e l’ingiunzione di sfratto. Caricare in macchina tutto ciò che hanno e trasferirsi nella vecchia fattoria del nonno sembra dunque l’unica opzione possibile. Sperduta nel bel mezzo del nulla, in una zona quotidianamente scossa da inspiegabili terremoti, la nuova casa, come ogni vecchia magione che si rispetti, pullula di segreti: strani rilevatori di energia, nascondigli nel pavimento, e una curiosa automobile, coperta di polvere, targata Ecto-1.

 

Con più di un anno di ritardo rispetto alla programmazione originaria a causa della pandemia, e la presentazione alla Festa del cinema di Roma in ottobre, “Ghostbusters: Legacy” è finalmente arrivato nei nostri cinema.

Dietro la macchina da presa c’è Jason Reitman, figlio di quell’Ivan Reitman che ha diretto i primi due film del franchise, nel 1984 e nel 1989. E la continuità con quei cult, di quei questa pellicola è sequel, non potrebbe essere più evidente.

Ma vogliamo dirlo subito: “Ghostbusters: Legacy” è sì un’operazione nostalgia – con dozzine di rimandi alla saga originale e il ritorno di alcuni iconici motivi e personaggi – ma che riesce a evitare i più classici scivoloni del genere.

Non si tenta di formare una nuova squadra di Acchiappafantasmi (lo scadente risultato ottenuto in questo senso dal film di Paul Feig del 2016 è servito a qualcosa, probabilmente!), ad esempio, o di ricreare la chimica che univa il cast di un tempo.

Reitman mette al centro del progetto personaggi giovani, freschi, e di fatto espande l’universo di “Ghostbusters” piuttosto che tornare a battere vecchie strade. Senza dimenticare i riferimenti all’originale, a partire dalla Ectomobile che compare in tutta la sua decadente e intramontabile bellezza, riesce nell’impresa, oggettivamente difficile, di rendere omaggio al passato e al contempo traghettare la storia del nuovo Millennio.

Così facendo strizza l’occhio agli appassionati ma avvicina alla storia anche un nuovo tipo di pubblico – quelli che magari negli anni ‘80 non erano neppure nati, la cosiddetta “generazione Stranger Things”. E getta un ponte, solido, tra presente e passato. 

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