Furti di libri: i titoli più rubati e i possibili rimedi al fenomeno

di Valentina Biondini

 

Il furto di libri è un fenomeno di cui si sa e si parla poco, ma che esiste da sempre. Già nel XVI secolo, Papa Pio V si vide costretto a emanare una bolla con cui intimava la scomunica per coloro che avessero trafugato manoscritti dai monasteri.

Oggi i dati, soprattutto in Italia, sono piuttosto frammentari, probabilmente perché – come suggerisce Giacomo Papi nel dettagliato articolo “Chi ruba nelle librerie”, uscito su Il Post – i librai (ossia le vittime) sono reticenti a diffonderli, poiché temono la reiterazione del misfatto.

Oltreoceano, invece, già da un po’ di tempo studiosi o semplici appassionati si occupano della questione, arrivando a stilare delle classifiche dei libri che vanno maggiormente – e letteralmente – a ruba (a questo proposito vi consigliamo di leggere “What Are the Most Stolen Books?” di Josh Jones, pubblicato su Open Culture).

Non tutte le classifiche riportano gli stessi titoli, e ciononostante ce ne sono alcuni ricorrenti. In testa ai “best-stolen” troviamo le opere di Charles Bukowski e William S. Burroughs, seguite da “Sulla strada” di Jack Kerouac. Chiudono il quintetto “Il grande Gatsby” di F. Scott Fitzgerald e opere varie di Ernest Hemingway.

E in Italia? Pare proprio che ad andare a ruba siano soprattutto i romanzi del momento – come “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati o “Purity” di Jonathan Franzen –, quelli di cui tutti parlano e che non leggere è un delitto.

Ma qual è l’identikit del ladro di libri, e perché fa quello che fa? Domande a cui, purtroppo, è difficile dare una risposta. Per quanto riguarda l’identikit, infatti, non c’è concordanza di giudizio tra i librai: secondo quelli delle grandi catene, il colpevole è il più delle volte di sesso maschile (giovani universitari squattrinati oppure insospettabili e distinti signori), mentre per i titolari di piccole librerie indipendenti si tratterebbe nella maggior parte dei casi di donne (di qualsiasi fascia d’età).

Veniamo all’altra fondamentale questione: il movente. I libri – saltino questo passaggio i più idealisti tra i lettori presenti – sono pur sempre una merce e come tali valgono qualcosa anche in termini economici. Quindi può accadere che chi li ruba lo faccia per rivenderli a sua volta, magari nelle bancarelle o sul mercato antiquario. Tuttavia non sembra essere questa la ragione che più ricorre nei casi conclamati di bibliocleptomania e, del resto, i ladri di professione prediligono prodotti più redditizi, come i telefonini.

In un’opera del 1971 di Abbie Hoffman dal titolo eloquente di “Steal this Book” il furto di libri fu elevato addirittura ad atto di protesta contro il sistema. Ma interpretare il ladrocinio librario come un gesto rivoluzionario sembra non reggere alla prova dei fatti.

E allora perché lo fanno? Si potrebbe affermare che il vero movente sia la “libridine”, ossia il vizio che affligge i libridinosi. All’origine del furto ci sarebbe, pertanto, il piacere che i feticisti dei libri ricavano dall’appropriarsi dell’oggetto dei propri sogni in maniera illegale, nella convinzione – erronea, ma ben radicata – che in fondo sottrarre volumi non sia del tutto un reato.

Non ci crederete, ma il più libridinoso di tutti ha un nome e un cognome. Si chiama William Jacques ed è un suddito, indisciplinato, di Sua Maestà britannica. Si stima che, in alcune delle più antiche biblioteche d’oltremanica, abbia rubato tomi per un valore complessivo di almeno 1 milione di sterline. Impresa che gli è valsa il soprannome di Tome Raider!

Con queste premesse, a quali rimedi si possono appellare i poveri librai, già tanto provati dalla generale crisi dell’editoria? Le soluzioni proposte sono principalmente due, una che guarda al futuro e l’altra al passato. Da un lato si suggerisce di trasformare le librerie in moderni negozi hi-tech, dove di ogni titolo viene esposta soltanto una copia, mentre tutte le altre sono tenute sottochiave dal personale; dall’altro si consiglia di incatenare letteralmente i libri agli scaffali, com’era costume nel Medioevo.

Scherzi a parte, a volte basterebbe solo un po’ di buon senso per migliorare le cose. Così, come già si vede fare negli Stati Uniti, i libri più “a rischio” potrebbero non venire esposti. Al loro posto, dei cartelli con su scritto il titolo e accanto un bel “Chiedere per avere assistenza”.





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