Caro lettore del nord Italia, sì, proprio tu che vivi in un paesino, non ti sei mai spinto oltre il fiume Po e pensi che, oltre questo confine, non si trovino altro che terroni e mafiosi. Tu che rifiuti l’italiano come lingua nazionale e magari hai evitato con cura di vedere al cinema il pluripremiato “Anime nere” di Francesco Munzi perché recitato in dialetto.
Ebbene, caro lettore, Pietro Valsecchi ha deciso che è arrivato il momento per te di varcare il Rubicone, almeno televisivamente parlando, e ti ha preparato per il 9 novembre una bella sorpresa su Canale 5: “Solo” di Michele Alhaique con Marco Bocci, miniserie in quattro puntate. Girata tutta in Calabria.
Stai calmo, non agitarti, bevi un bel bicchiere d’acqua, non accanirti già da adesso contro il televisore e sforzati di seguire almeno per qualche minuto la storia.
Marco (Bocci) è un agente dello Sco (il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato), infiltrato nei ranghi della malavita romana da più di un anno, quando durante uno scambio d’armi finito nel sangue ha modo di farsi notare, salvando Bruno Corona (Peppino Mazzotta), esponente di spicco dell’omonimo clan calabrese.
I Corona controllano uno degli asset principali della ‘ndrangheta, il porto di Gioia Tauro, e per la prima volta lo Sco si trova nelle condizioni di infiltrarvi un suo agente. Una missione ad alto rischio, considerando le maglie strettissime dei clan calabresi, dove il vincolo di sangue è indistruttibile.
Sfruttando la lealtà mostrata a Bruno, con il quale nasce un forte legame d’amicizia, Marco s’inserisce negli ingranaggi criminali della famiglia Corona, conquistando anche la fiducia di Don Antonio (Renato Carpienieri). Completa la famiglia Agata (Carlotta Antonelli), poco più di vent’anni, in ribellione contro usi e costumi della ’ndrangheta.
Marco sarà chiamato a mettere a tacere la propria coscienza ed essere non solo spettatore, ma anche parte attiva delle efferate azioni criminali di Bruno per risultare credibile e non bruciarsi.
Se “Gomorra – la serie” ha inchiodato il pubblico allo schermo mostrando il fascino magnetico e perverso del male, con lo Stato a recitare una ruolo passivo e marginale, in “Solo” lo schema viene capovolto e gli sceneggiatori raccontare il lavoro quotidiano, pericoloso e silenzioso di migliaia di appartenenti alle forze dell’ordine.
“Solo”, che ha il merito di mostrare al pubblico, attraverso la fiction, una realtà criminale poca conosciuta ma terribile, presenta anche limiti narrativi e strutturali abbastanza evidenti.
Sebbene il produttore Valsecchi abbia voluto sottolineare in conferenza stampa l’’impegno della Taodue a tornare alle origini, promuovendo storie singole e non corali come quelle di “Squadra Antimafia” e “Distretto di Polizia”, la sensazione che anche l’ultima arrivata presenti l’impianto narrativo dei celebri precedenti è forte.
Per chi ha avuto poi modo di vedere il film “Anime nere”, a cui accennavamo prima, questa Calabria messa in scena da Alhaique risulterà fredda, costruita a tavolino più che realistica.
Chissà che andando avanti la serie non porti a rivedere queste impressioni; per adesso possiamo dire che la prima puntata convince solo in parte.
Peppino Mazzotta dà la prova migliore, nelle vesti del giovane e feroce boss determinato a non fare prigionieri nella guerra tra clan che si sta preparando. Curioso, però, che in una serie ambientata nel cuore della Calabria si sia scelto di far parlare si personaggi un italiano quasi perfetto, con rare tracce di dialetto.
Marco Bocci mette cuore e anima nella sua interpretazione, ma al momento sembra il vice-questore Domenico Calcaterra di “Squadra Antimfia” distaccato in Calabria.
Sospendiamo, invece, per adesso il giudizio sulle due protagoniste femminili, Diane Fleri e Carlotta Antonelli. Gli elementi in nostro possesso sono troppo pochi per formulane uno. La speranza è che gli sceneggiatori, per ottenere consensi, non abbiano dato troppo peso al tema del triangolo amoroso, poco in linea con una storia di mafia.
Caro lettore, forse non ti ho invogliato a vedere la miniserie “Solo”, ma prima di criticarli e additarli, questi terroni, non sarà il caso almeno di conoscerli?