“Fedeltà”: recensione del romanzo di Marco Missiroli edito da Einaudi

Carlo e Margherita e "il malinteso" che scombina le loro vite, in un bel racconto introspettivo

Ci sono libri (romanzi, racconti, opere teatrali) che, nonostante la moda e le possibilità di profitto, sarebbe bene NON adattare per il piccolo o grande schermo. Vuoi perché la trama non si presta, per la sua complessità magari, a venire trasposta; vuoi perché lo stile dell’autore è troppo particolare e sarebbe impossibile renderlo davvero bene per immagini.

Fedeltà” di Marco Missiroli, edito da Einaudi, vincitore nel 2019 del Premio Strega Giovani, secondo me rientra a pieno titolo nella categoria. E lo dico a priori e a prescindere, dopo averlo letto e senza aver visto l’omonima serie Netflix con protagonisti Michele Riondino e Lucrezia Guidone (qui la recensione della nostra Federica Rizzo).

Carlo e Margherita sono una coppia “normale”: agente immobiliare lei, docente part-time di scrittura creativa, con velleità da scrittore mai realizzate, lui. Il loro matrimonio non è in crisi, tra loro c’è ancora una forte intesa, anche sessuale. Ma a incrinare la superficie del loro rapporto arriva “il malinteso”, come i due lo hanno definito. 

Carlo è stato visto nel bagno dell’università insieme a una studentessa, Sofia: «Si è sentita male, l’ho soccorsa», racconta al rettore, ai colleghi, alla moglie, e la ragazza conferma la sua versione. Ma il dubbio si insinua comunque tra loro, e quel presunto tradimento diventa una sorta di ossessione per lui, un’alibi per le fantasie di lei.

Messa in questi termini – estremamente stringati – la trama di “Fedeltà” potrebbe sembrare adatta a una trasposizione seriale. Eppure non lo è, davvero. Perché Carlo e Margherita non sono che due dei diversi personaggi il cui punto di vista Missiroli racconta in queste pagine, quasi senza interruzioni, in un fluire morbido e naturale tra uno e l’altro e l’altro e l’altro.

“Fedeltà” non è un romanzo facilmente adattabile per il suo stile, per la sua storia e soprattutto per la profondità di quello che racconta. Alcuni passaggi sono di una delicatezza estrema, altri forti e quasi duri, tutti sono accomunati dall’approfondimento psicologico di chi prende la parola. E personalmente trovo difficile immaginare che uno sceneggiatore, per quanto bravo, sia stato capace di rendere un tale caleidoscopio di spunti, suggestioni, riflessioni. Il mezzo televisivo/seriale non si presta, ecco tutto. 

È il bello dei romanzi, almeno dei bei romanzi introspettivi contemporanei come questo: la pagina offre possibilità espressive illimitate. Si possono giustapporre pensieri sul presente e ricordi del passato, si può parlare della strada di Milano che stiamo attraversando e il paragrafo successivo di un profumo legato all’infanzia, senza che questo incida sulla tenuta della storia o sulla coesione. E si può farlo per uno, due, dieci personaggi. La scrittura permette di essere fluidi, naturali, di raccontare la vita per quello che è

In “Fedeltà”, Missiroli – che avevo già apprezzato nel 2015 con “Atti osceni in luogo privato” – ci riesce. Carlo e Margherita sono credibili e reali, ma altrettanto – se non di più! – lo sono i cosiddetti “comprimari”, che però comprimari non sono: la studentessa Sofia, originaria di Rimini, che fa la cameriera e al contempo segue un corso di scrittura creativa; il fisioterapista Andrea, con il suo rapporto non pacificato con se stesso; Anna, la mamma di Margherita, vedova, per una vita sarta. 

Ciascuno di questi personaggi non ci racconta tanto e solo la sua storia, ma ci porta letteralmente dentro la sua vita. Ci fa sentire le sue emozioni, pensare i suoi pensieri, provare le sue emozioni. In un flusso davvero bello di parole, fino al finale tragico, lirico e perfetto. 

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