Uscito a fine ottobre, “Ero il mare nero” ha una lunghissima gestazione alle spalle, ben 18 anni. Il tempo passato dall’autore a lavorare al suo romanzo potrebbe servire a dare un’idea della complessità che in esso è nascosta, della complessità che anima ogni pagina.
Il protagonista di questa storia intensa, poetica e dura allo stesso tempo, è un disilluso cronico, che ha permesso alla vita di portargli via tutto, senza neppure provare a combattere. Dopo aver perso l’amore della sua vita, Anna, ha gettato la spugna, ed è adesso intrappolato in un’esistenza che si trascina in avanti, sempre uguale, come una condanna. La sua voce, però, quella che racconta al lettore gli eventi non suona solo come quella di un naufrago sbattuto qua e là dalle tempeste della vita. Il libro è una lettura piacevole, nonostante le tematiche delicate che affronta, soprattutto perché il narratore è interessante, coinvolgente, colto. E ironico. Parla della sua vita – divisa tra alcol e puttane, condivisa con amici che come lui raschiano il fondo del barile, guidata da donne forti che rappresentano, per certi versi, dei punti fermi in un universo che balla – come un narratore consumato. Coinvolgendo. Conquistando.
Se le premesse non sono rosee, non dovete pensare a questa storia come a un buco nero di degrado e depressione, qualcosa da cui è impossibile tirare fuori un qualsiasi messaggio positivo, perché vi sbagliereste di grosso. Anche se tutti i personaggi ci vengono presentati come deboli o perdenti, all’inizio, via via che le pagine scorrono la forza insita in ognuno di loro viene fuori. È possibile costruire – o ricostruire – dopo aver distrutto? È possibile mettere un punto a ciò che è stato e cominciare da capo? Mano a mano che il protagonista precipita nel mare nero che è dentro di lui e in lui da lettori/osservatori vorremmo che la risposta fosse “Sì”. Perché non è facile assistere al degrado di un essere umano e restare impassibili.
Questo è un libro sul lato oscuro della vita, sugli eventi che destabilizzano chi li vive, su ciò che porta una persona da essere come gli altri a non provare più alcuna fiducia sulla bontà del domani. Ma è anche la storia di come, attraverso una passione, si possa intravedere una luce in fondo al tunnel. Che poi questa luce sia reale oppure l’ennesima, mera illusione lo scopriremo soltanto imboccando la strada che conduce fin lì.
Un libro che porta a scontrarsi non tanto e non solo con il lato oscuro dell’autore, ma con il nostro. È questo, ritengo, uno dei maggiori pregi dell’opera. Quando un romanzo, parlando di una storia specifica, di qualcuno di diverso e per certi versi lontano, porta il lettore in prima persona a farsi delle domande, a mettersi in discussione, a guardare la propria vita e la propria anima attraverso la lente d’ingrandimento fornita dalla narrazione… be’ è un po’ una magia. Ed è un segno che lo scritto ha raggiunto il suo obiettivo, abbandonano la monodimensionalità della pagina per proiettarsi fuori, nel mondo.