di Luciaconcetta Vincelli
Un film di Eryk Rocha. Con Nelson Pereira dos Santos, Carlos Diegues, Joaquim Pedro de Andrade, Glauber Rocha, Leon Hirszman. Documentario, 92’. Brasile, 2016
In Brasile, lungo gli anni ’60, con un’idea in testa e una macchina da presa in mano, i registi del Cinema Novo realizzarono film con l’ambizione di cambiare il mondo. Era un momento storico in cui l’arte, l’utopia e la rivoluzione si incontrarono. Un’avventura di creatività, amicizia, assenza di conformismo, caratterizzata da idee che consegnarono al mondo nuove immagini del Brasile.
Dal Brasile degli anni ‘60 riecheggia una verità valida ancora oggi, e a tutti i livelli: basta poco per cambiare il mondo. “Una macchina da presa in mano e un’idea in testa” è stato lo slogan del movimento Cinema Novo e la matrice del documentario omonimo.
Il regista Eryk Rocha, premiato da Gianfranco Rosi al Festival di Cannes 2016 per il miglior film documentario, tenta con la sua opera un’impresa straniante: ricordare un movimento che si proponeva di uscire fuori dalle sale, nelle strade.
Oggi, probabilmente, il clima è cambiato, ma il terreno è ancora fertile per riscoprire l’eredità di un cambiamento maturato non senza difficoltà. Pur fiorendo “in un’epoca in cui Arte, Utopia e Rivoluzione camminavano insieme”, nutrendosi degli apporti del neorealismo italiano, della Nouvelle Vague francese, il Manifesto del Cinema Novo, pubblicato da Glauber Rocha (padre del regista) nel 1965, avanzò un obiettivo di totale audacia nel “Terzo Mondo brasiliano”: integrare il cinema nella realtà culturale del Paese, renderlo un mezzo di consapevolezza sociale.
E il film, grazie all’abile montaggio di Renato Vallone, ne ricostruisce la realizzazione, ne recupera gli ideali, senza cadere nel didascalico, dell’estetica e della politica, combinati insieme come vero e proprio postulato del movimento.
In effetti, tutto nacque dal bisogno di un gruppo affiatato di giovani cineasti di sentirsi protagonisti della storia del loro Paese, si sviluppò in esperimenti sempre accompagnati da un’attenta scelta estetica, e tutto terminò – se terminò – in una precisa volontà di proporre opere politiche e, allo stesso tempo, dotate di una grandiosa poetica.
Dal film più celebre di Nicolas Pereira dos Santos, “Vidas Secas”, e dai contributi degli altri esponenti, come Joaquim Pedro di Andrade, Ruy Guerra, Carlos Diegues, nacque la cosiddetta estetica della fame, concepita filmando la realtà dei volti scottati, delle mani contadine, dei rituali, delle molteplici identità brasiliane, anche quelle più remote, “orfane”, per svelare il linguaggio e la narrativa del Paese, il quale doveva al più presto riconquistare coscienza di sé.
L’entusiasmo di cittadini, prima di tutto, che “vivevano, mangiavano, vomitavano cinema”, condusse il movimento a filmare la propria terra senza, tuttavia, rispettare la distinzione tra realtà e finzione: in tal modo, il reale, che rischiava di intrappolare il Brasile in un mero incubo da terzo mondo, divenne il solo vero palcoscenico dell’autentica libertà brasiliana e della sua identità più remota.
Ma occorreva ancora un cambiamento per completare la rivoluzione, e qui risiede il merito, estetico, economico e politico a un tempo di Cinema Novo. Il cinema brasiliano necessitava di un’infrastruttura che potesse garantire maggiore libertà nelle sale di proiezione e che potesse far avvicinare al popolo il cinema girato tra il popolo.
Il movimento comprese l’urgenza e, per questo, si realizzò in una perenne corsa, decisa lungo la propria prospettiva, secondo una solidale e forte condivisione di idee tra i corridori: e il film, dotato di una distinta cifra stilistica, che riesce a raccontare senza svilirsi nel suo stesso racconto, sceglie come incipit e conclusione esattamente la corsa e la strada, come svolgimento e ambientazione di una grandiosa riscoperta.
Si costituisce così, con fotogrammi d’archivio e di film manifesto, un vero e proprio saggio poetico, capace di scolpire in modo dinamico la storia del cinema brasiliano e il suo paesaggio, dipinto dal rivoluzionario colore del Cinema Novo e dalla sua mirabile impresa politica e poetica.