Cartoline dal Torino Film Festival: “They” e “Daphne”

Due film che sanno di incompiuto, e che affrontano tematiche delicate come maturazione e identità

Avete presente le espressioni: vorrei ma non posso e fermarsi a metà del guado? Ecco, queste due pillole di saggezza sarebbero calzanti per sintetizzare le sensazioni che lo spettatore si porta a casa guardando “They” di Anahita Ghazvinizadeh e “Daphne” di Peter Mackie Burs, entrambi in concorso al Torino Film Festival.

Non si tratta di due brutti film, chiariamolo, ma su entrambi aleggia un forte senso di incompiutezza, e di occasione non colta completamene sul piano creativo e registico. Sceneggiatura e messa in scena risultano acerbe, e questo porta a disperdere le buone potenzialità iniziali.

“They” e “Daphne” raccontano due delicati momenti della vita di ognuno: adolescenza e maturità. 

 

THEY: UN FILM CHE PARLA DI IDENTITÀ DI GENERE

Un film di Anahita Ghazvinizadeh. Con Rhys Fehrenbacher, Koohyar Hosseini, Nicole Coffineau, Norma Moruzzi, Diana Torres. Drammatico, 80′. USA, Qatar, 2017

J. è un adolescente che non sa decidersi riguardo alla propria identità sessuale e, per questo, prende degli ormoni che ritardano la pubertà, sperando di trovare una risposta nel mentre. Una telefonata del medico che lo/a segue, però, segnala la necessità di interrompere la cura, per via di un valore delle ossa che può farsi pericoloso: a J. non restano che un paio di giorni per decidere di sé. Intanto i genitori sono fuori casa e con lui/lei (in famiglia si è scelto di adottare un netrale “loro”) c’è la sorella maggiore, di passaggio con il suo futuro marito.

In passato diversi film hanno affrontato la complessa tematica dell’affermazione della propria identità di genere, un momento difficile, anche se a viverlo è un adulto. Figurarsi un ragazzo, come il protagonista di “They” dell’iraniana Anahita Ghazvinizadeh.

“They” ha un inizio molto delicato, intimistico, quasi onirico, che permette allo spettatore di entrare nella testa di J e condividere la sua indecisione. Poi però, senza una ragione, il focus narrativo si sposta su un lungo pranzo a casa del fidanzato della sorella del protagonista, che sebbene divertente risulta totalmente fuori contesto e incomprensibile rispetto a quanto visto in precedenza.

Nel finale, la scelta di J torna di nuovo al centro della storia, ma a questo punto lo spettatore è stanco e meno ben disposto, colpa di quella inutile ed eccessivamente lunga parentesi e della messa in scena frettolosa e poco fluida.

Naturalmente lo spettatore può solo augurarsi che tutti i J del mondo trovino, con meno traumi possibili, la loro dimensione e il loro posto nel mondo.

Il biglietto da acquistare per “They” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre. 

 

DAPHNE: ALLA RICERCA DI SE STESSI IN UNA LONDRA REALISTICA

Un film di Peter Mackie Burns. Con Emily Beecham, Geraldine James, Tom Vaughan-Lawlor, Nathaniel Martello-White, Osy Ikhile. Commedia, 88′. Gran Bretagna, 2017

Daphne ha capelli rossi e anni ardenti che spende facendo sesso con gli sconosciuti e bevendo troppo. Una notte, durante una rapina in un drugstore, assiste all’aggressione di un uomo che soccorre e poi archivia come i bicchieri e gli amanti occasionali. Fatta la deposizione in centrale, una poliziotta la informa che ha diritto all’assistenza psicologica. Daphne ci pensa su e poi decide di incontrare un terapista.

Nel film di Peter Mackie Burns, lo spettatore segue la vita tumultuosa quanto ripetitiva della protagonista, la trentenne Daphne, senza però coglierne l’essenza. Il cuore dell’intreccio narrativo – dispersivo e caotico – anche resta un mistero.

“Daphne” manca di una precisa identità e gli stessi colpi di scena che si verificano durante la storia appaiono slegati tra loro e privi di un filo rosso che li armonizzi e dia un senso al tutto.

La forza del film è tutta nell’intensa e carismatica performance di Emily Beecham, che si impone sulla scena con personalità e talento, dando volto e cuore al suo personaggio, rendendolo simpatico nonostante le imperfezioni.

È bello e suggestivo anche osservare come Daphne si muova in una Londra assai diversa dai soliti cliché cinematografici e televisivi, una città più sporca, a misura d’uomo e imperfetta, ma anche più intrigante.

Daphne, alla fine, trova il modo di vincere i propri demoni interiori e prepararsi a mordere la vita. E chissà che qualcuno non decida di prendere esempio da lei per fare altrettanto.

Il biglietto da acquistare per “Daphne” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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