Scrivo la mia cartolina di commiato sul treno, con Venezia alle mie spalle e Roma all’orizzonte, come di consueto. Quest’anno, però, a differenza del passato sono partito con un giorno di anticipo, senza aspettare la premiazione del concorso ufficiale.
La verità, caro lettore, è che i verdetti della Mostra del cinema valgono poco o nulla, nel 2020. Non me ne vogliamo ovviamente i registi, gli attori e i produttori che hanno ricevuto l’attesa telefonata e si sono ripresentati, prontamente tamponati, al Lido per ricevere questo o quel riconoscimento. Non è un giudizio di merito sul loro operato, il mio.
Ma quest’anno il dato atteso dal direttore Barbera e dall’intera comunità festivaliera è quello che avremo a fine settembre, ovvero se e quanti contagiati si sono generati in questi giorni. Inutile girarci intorno: il futuro prossimo dei festival dal vivo passa dal successo sanitario di Venezia 77, dalla validità o meno del protocollo che è stato applicato e che sarà, in caso positivo, riproposto.
Parlando di cinema, questo è stato un Festival complessivamente buono, ma che non ha toccato picchi memorabili. Un Festival senza stelle di Hollywood e con red carpet per pochi intimi. Un Festival dove le code fisiche sono state annullate, e il posto in sala si è prenotato online (una novità positiva, da confermare il prossimo anno, secondo me).
Personalmente ho consumato litri di Amuchina e sobbalzato, con charme, a ogni starnuto o colpo di tosse dei colleghi. Le occhiaie stile panda sono comparse, segno che certe cose non cambiano mai.
Alla Mostra del cinema 2020 contava esserci, e noi ci siamo stati. Abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo, o meglio oltre la pandemia. Ringrazio le colleghe per il prezioso aiuto da remoto, e la direttora per la pazienza, come di consueto.
Non mi resta che mandarvi un saluto, debitamente sanificato, dal treno Italo. Sperando di poter ribadire, fra due settimane: “A Venezia 77 non ci fu coviddi”.