Cartoline da Cannes 2021: J’accuse

L'edizione estiva e "pandemica" ha avuto le sue magagne, tra code e regole non rispettate

Ho aspettato pazientemente, e tutto sommato silenziosamente, questo momento. Nell’attesa ho raccolto dati, visto cose che voi umani…, annotato disservizi e anche fotografato le mancanze vistose e ripetute dell’organizzazione.

I miei due lettori magari si sarebbero aspettati più cartoline dal Festival di Cannes e/o famigerate lettere aperte a piani alti della kermesse. Mi dispiace deludervi, ma stavolta niente da fare. Ho tenuto le cartucce in serbo per questo sincero, appassionato e conclusivo J’accuse.

Io accuso il delegato generale Frémaux di averci fatto vivere dodici giorno in un potenziale – e manco tanto! – focolaio Covid a cielo aperto.

Venerdì, presentando “Vortex” di Caspar Noe con protagonista il nostro Dario Argento, il sopracitato ha ammesso che sono stati trovati 70 casi di positività tra i migliaia di test eseguiti. Chi sono, questi 70 casi? Giornalisti? Buyer? Operatori? Attori? Silenzio. Sono stati isolati e messi in quarantena, insieme ai loro contatti stretti magari? Silenzio.

Io accuso Frémaux di aver stilato un protocollo sanitario piuttosto vago, incerto e facilmente aggirabile. Un protocollo che ci ha portati, giornalmente, a continui e allarmanti assembramenti sotto il sole.

Lo accuso anche di non aver saputo riproporre in toto il “modello Biennale di Venezia”, che si era dimostrato sensati e sicuro lo scorso autunno, ma di averlo voluto “adattare” al contesto francese, rendendolo, di fatto, una barzelletta.

Io accuso la non adeguata preparazione del personale del Festival di Cannes nella prevenzione anti-Covid e la totale assenza di controllo durante le proiezioni.

Io accuso i responsabili della sicurezza Debussy di aver indossato la mascherina sotto il naso per tutta la durata del Festival, urlando (e sputacchiando) al contempo di indossarla correttamente ai giornalisti.

Io accuso anche giornalisti, componenti dello staff, addetti ai lavori di aver utilizzo ad minchiam i dispositivi di protezione personale.

Io accuso d’incompetenza i responsabili del sito per la prenotazione dei biglietti: ogni giorno, per undici giorni, dalle 7.00 alle 10.00 il suddetto sito era sempre ko – probabilmente per i troppi accessi o tentativi di accesso in contemporanea.

Io accuso il Presidente Macron di aver consentito il far west di Cannes, rendendo legale, a livello nazionale, dal 30 giugno, la massima capienza nelle sale. Lo accuso di non aver avuto il coraggio di bloccare il Festival, posticipando l’obbligo del green pass per cinema e ristoranti e di fatto “chiudendo la stalla” quando i buoi erano belli che scappati.

Io accuso le cameriere della Croisette, giovani e carine ma allergiche alle mascherine. Probabilmente pensavano che il Covid, accompagnato da un bel sorriso, potesse essere meno sgradito al cliente.

Passando a più “liete note”, io accuso Frémaux sul piano artistico, di aver selezionato 24 titoli in concorso di livello nel complesso discreto ma niente di più.

Io accuso Cannes di avermi fatto aumentare le nevrosi, gonfiato i piedi (questo però è un classico che poco c’entra con la pandemia!) e fatto vivere uno stress non richiesto. Ma soprattutto di esserci voluto essere a tutti i costi, quando le condizioni e il buon senso gridavano “No”.

E poi accuso me stesso, per essermi imbarcato nell’impresa a dispetto del sopracitato buon senso – e per rientrare in Italia mi sono beccato anche un viaggio della speranza in treno di 9 ore. Mi accuso per aver bucato ancora una volta il film vincitore della Palma d’oro, anche se questa volta, va detto, non proprio per colpa mia. 

Io mi accuso soprattutto perché, nonostante tutto quello che ho scritto sopra, sono stato felice di rivedere la Croisette. Cannes val bene un tampone – o uno ogni 48 ore più quello finale, scaccia-incubo, di cui ancora aspetto l’esito? Ai posteri l’ardua sentenza. 

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