“Brian e Charles”: una stramba storia di amicizia e scoperta reciproca

L'esordio nel lungometraggio di Jim Archer è delicato e toccante, un film dall'animo inglese

Un film di Jim Archer. Con David Earl, Chris Hayward, Louise Brealey, Jamie Michie, Nina Sosanya. Commedia, 90′. Gran Bretagna 2022

In un paesino del Galles rurale, il solitario e bizzarro Brian lavora come tuttofare per le signore della zona e si diverte a costruire ingegnosi congegni meccanici che funzionano di rado. Dopo aver trovato la testa di un manichino nei rottami che si diverte ad assemblare, costruisce un robot dalle dimensioni umane. In una notte di tempesta, incredibilmente il robot si anima e comincia a interagire con Charles, parlando un perfetto inglese imparato dal dizionario e dicendo di chiamarsi Charles Petrescu. Brian finalmente trova un amico in Charles, ma i problemi cominciano quando il robot comincia a chiedere di uscire dalla loro proprietà e una volta convinto Brian a portarlo con sé durante i suoi lavori viene notato da Hazel, una giovane donna di cui Brian è innamorato…

 

Dopo il successo del cortometraggio omonimo, il regista Jim Archer ha deciso di espandere la sua idea originaria e debuttare nel lungometraggio. Ed ecco arrivare al cinema “Brian e Charles”, una commedia assurda e dolce su un eccentrico inventore gallese e il suo compagno robot.

Brian (Earl), un inventore dilettante, vive rintanato in un cottage nella campagna del Galles. Per evitare la solitudine, costruisce un robot alto sette piedi (doppiato e gestito da Chris Hayward), che in una notte di tempesta incredibilmente si anima e inizia a parlare. Il robot, che si fa chiamare Charles Petrescu, risulta ridicolo come qualsiasi altra cosa nella vita di Brian.

Costruito inizialmente come un mockumentary – l’inventore mostra le sue eccentriche creazioni direttamente alla telecamera -, “Brian e Charles” è un film delicato, attraversato però da una profonda vena di tristezza e malinconia.

Charles è toccante. Grazie anche alla performance di Hayward, il personaggio risulta curioso e ingenuo, testardo e leale proprio come un bambino. Il Brian di David Earl, di contro, è un recluso disperato, che trova grazie al robot il senso della sua esistenza.

Alla fine, quello che resta sono una serie di domande filosofico-esistenziali che l’uomo si è posto dai tempi di “Frankenstein”. Qual è il significato ultimo della creazione? Si diventa responsabili della vita che si genera, anche se questa non è propriamente umana? E come ci cambia, questa “genitorialità”? Le risposte che dà “Brian e Charles” sono semplici, scontate forse, ma assolutamente vere.

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