Gentile direttore Carlo Chatrian, non abbiamo mai avuto il piacere di conoscerci “di persona personalmente”.
Due anni fa la stampa italiana ha festeggiato la sua nomina al ruolo di direttore artistico della Berlinale. “Bene, bravo, un giusto premio alla competenza”, era il commento che ho letto più di frequente.
Superato il 2020 senza aver dovuto pagare pegno alla pandemia, lei e la sua squadra siete stati costretti, come tutti, a ripensare il format del vostro Festival, visto il drammatico protrarsi dell’emergenza legata al Covid.
Come abbiamo raccontato nel nostro pezzo di presentazione, la Berlinale 2021 è stata posticipata di un mese, e divisa in due parti (1-5 marzo e 9-20 giugno), con la prima aperta solo alla stampa e agli addetti ai lavori, e naturalmente online.
La “rivoluzione pandemica” non ha però impedito di portare avanti – o introdurre, nel vostro caso – vecchi quanto fastidiosi vizi festivalieri, come quelli di fare “selezione all’ingresso” sugli accrediti e poi di ignorare ogni richiesta di chiarimento in merito.
Educazione e professionalità, caro Direttore, non mi risulta siano state cancellate sotto pandemia. Mi duole notare come la “variante italica” si sia fatta strada anche dalle vostre parti…
Fatta questa premessa, nessuna limitazione poteva impedirmi di portare avanti la tradizione di scrivere lettere aperte ai direttori dei Festival. In questo caso l’occasione mi è stata data dalla visione di “La veduta luminosa” di Fabrizio Ferraro, inserito nella sezione Forum.
Caro Direttore, il nostro primo contatto non è stato dei migliori, ma il tempo è galantuomo. Chissà che in futuro non ci siano altre occasioni di confronto, magari più felici, ovviamente sempre attraverso lettere aperte.
Cordialmente, Vittorio De Agrò