di Stefania Gazzola (logopedista),
Davide Nahum (psicologo)
Centro Ieled
Parole, parole, parole, cantava Mina in una bellissima canzone del 1972. Parlare è l’attività umana per eccellenza, quella che ci distingue dagli altri animali. In effetti, più che homo sapiens sarebbe giusto definirci homo loqui (ominide parlante).
Il linguaggio è tra le conquista più grandi che il bambino raggiunge nei primi anni di vita, straordinaria, se ci fermiamo un attimo a pensarci. Senza infatti che gli vengano impartite delle lezioni precise, senza che nozioni specifiche gli siano insegnate, il bambino inizia prima a produrre suoni, poi a formare parole, successivamente a combinarle tra loro.
Non tutti i bambini, però, seguono lo schema di sviluppo che vedremo tra poco – e questo può provocare grande ansia nei genitori. La premessa fondamentale è che ogni bambino è diverso dagli altri e matura secondo il suo ritmo. Il paragone con la fantomatica figlia di amici che a 3 anni parla già “come un libro stampato” non deve allarmare.
Ci sono però degli indicatori di massima per capire se il bambino sta seguendo il suo percorso, più o meno precoce, oppure se ci sono ragioni vere per preoccuparsi.
Per comprendere se ci sono dei ritardi nell’acquisizione del linguaggio è importante prima di tutto sapere come questo si sviluppa nei bambini. Vediamo le diverse tappe:
- Dai 4 mesi: lallazione semplice, ossia il bambino pronuncia le prime sillabe e le ripete;
- Dai 6 mesi: il bambino risponde con dei vocalizzi all’adulto che gli parla;
- Dai 9 mesi: compare la lallazione variata, ossia la produzione di sillabe diverse in sequenza;
- Tra i 12 e i 15 mesi: il linguaggio è limitato alla lallazione e compaiono le prime parole isolate;
- Tra i 16 e i 18 mesi: in questo periodo aumenta la produzione di parole e compare il cosiddetto “linguaggio telegrafico”, una combinazione di due parole che esclude gli articoli, la congiunzione e i verbi (mamma pappa, papà palla);
- Tra l’anno e mezzo e i 2 anni: compaiono le prime combinazioni di parole (mamma apri, dammi acqua) e il bambino produce almeno 50 parole. Si assiste a quella che viene chiamata esplosione del vocabolario;
- Tra i 2 e i 3 anni: la frase si espande progressivamente attraverso l’acquisizione delle principali regole grammaticali delle frasi semplici ed ampliate, fino ad arrivare a frasi complesse.
Può succedere che i bambini non rispettino queste tappe dello sviluppo del linguaggio senza che ci siano patologie. Si parla in questi casi di “parlatori tardivi”. I bambini parlatori tardivi hanno queste caratteristiche:
- Producono un numero inferiore o uguale a circa 50 parole a due anni;
- Non producono associazioni di parole e prime frasi;
- Cominciano a parlare in un periodo successivo, seguendo uno sviluppo simile a quello dei bambini a sviluppo tipico;
- Altri bambini che presentano un ritardo del linguaggio sono invece a rischio per lo sviluppo di disturbi di linguaggio (difficoltà specifiche delle abilità di comprensione e produzione del linguaggio).
Ma insomma, esistono degli indicatori di rischio per i disturbi del linguaggio?
Nonostante distinguere precocemente un ritardo transitorio da un disturbo del linguaggio a tutti gli effetti sia molto difficile, gli studi scientifici dimostrano che la strategia di “attesa” (aspettare che il bambino diventi più grande per vedere se il linguaggio si svilupperà o meno) non è efficace. In caso si riscontrino indicatori di rischio è consigliabile monitorare la situazione e intervenire, a partire dai 3 anni.
Ecco gli indicatori di rischio da tenere sotto controllo:
- Lallazione scarsa e/o poco variata nella produzione di consonanti;
- Assenza di produzione di gesti deittici a 12-14 mesi (indicare per richiedere un oggetto, ecc.);
- Scarsa produzione di gesti simbolici tra i 18 e 28 mesi (il gesto di “ciao”, “buono”, telefonare, volare, ecc.);
- Assenza o scarsa presenza di gioco simbolico tra i due anni e i due anni e mezzo (giocare con le bambole, far finta di cucinare, ecc.);
- Vocabolario inferiore a 50 parole a due anni;
- Ritardo nella comparsa delle prime combinazioni di parole;
- Mancata comprensione di frasi poco contestualizzate dopo i due anni (la mancata comprensione di una richiesta di un oggetto non presente in quel momento nella stanza);
- Linguaggio verbale non comprensibile dopo i due anni e mezzo/tre.
In caso il bambino presenti due o più di questi indicatori di rischio è consigliabile parlarne con il pediatra e approfondire la situazione con uno specialista.
Il linguaggio è ciò che ci rende umani, ciò che ci permette non solo di condividere le nostre esperienze, ma, in un certo senso, anche di viverle in maniera più piena. Se è vero che ogni bambino ha i suoi tempi di apprendimento, non sottovalutare i segnali è fondamentale per potere, in caso di bisogno, intervenire in maniera tempestiva.