Un film di Leonardo Di Costanzo. Con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco. Drammatico, 117′. Italia 2021
Un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata del territorio italiano, è in dismissione. Per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti rimane, con pochi agenti, in attesa di nuove destinazioni. In un’atmosfera sospesa, le regole di separazione si allentano e tra gli uomini rimasti si intravedono nuove forme di relazioni.
Dopo l’esordio, riuscito, nel cinema di finzione con “L’intervallo” (2012), Leonardo Di Costanzo riprende il suo percorso di riflessione e ricerca sulle dinamiche interpersonali in situazioni, diciamo, limite in “Ariaferma”, presentato fuori concorso a Venezia.
Il regista prende due personaggi – il secondino Toni Servillo; il detenuto Silvio Orlando – e li rinchiude in uno spazio circoscritto, un carcere ormai quasi in disuso; li obbliga a una convivenza forzata che li porta, giocoforza, a confrontarsi, a immaginare nuove forme di convivenza, a far emergere i rispettivi caratteri (segnati dal rapporto difficile col padre).
L’ariaferma a cui fa riferimento anche il titolo, simbolico e potente, è fatta delle paure e delle insicurezze di questi uomini, dei loro scheletri nell’armadio. I detenuti in attesa di trasferimento sono dodici, come gli apostoli. Manca loro però, stavolta, un Messia da seguire o una qualche fede a cui aggrapparsi.
Interessanti alcune inquadrature e la fotografia che esalta il buio e le ombre dell’ambientazione, questo edificio semi-abbandonato con le celle posizionate in una rotonda, a esaltare il senso di accerchiamento psicologico e fisico dei personaggi. Della colonna sonora di Pasquale Scialò, più della musica quasi inesistente, colpiscono i suoni, che contribuiscono al realismo.
“Ariaferma” è un film dal ritmo lento, che ben rappresenta la vita carceraria. Un racconto a più voci, che mette a nudo la psiche e l’animo di questi uomini, condizionati dalla clausura, dal lavoro e dagli errori commessi ma non per questo privi di sentimenti.