Possiamo mai dire di conoscere davvero qualcuno, sia questo un genitore, un fratello, il partner, un figlio? Quanto della nostra vita passata teniamo gelosamente chiusa in un cassetto, inaccessibile a tutti, anche a coloro che ci sono più vicini?
E di contro, quanto è giusto tenere le persone che amiamo, le persone che crediamo di dover proteggere – penso soprattutto i figli, ma anche ai fratelli minori – all’oscuro dei fatti più duri della vita? Cosa è giusto dire loro, delle tragedie che purtroppo accadono? Quanto è giusto nascondere?
Sono solo alcune delle domande provocate dalla lettura del libro “All’inizio del settimo giorno” di Luc Lang, edito da Fazi. Un libro scritto in modo avvolgente, incalzante, profondo; un libro che cattura fin dalla prima pagina, attraverso lo stile dell’autore. E che poi tiene legati con la trama e i personaggi.
Thomas è un marito e padre “normale” nella Francia di oggi, lavora per una compagnia informatica, si divide tra la famiglia – la moglie in carriera, Camille, i figli di 10 e 8 anni, Anton ed Elsa -, l’ufficio e gli amici.
Una notte Thomas viene svegliato da una telefonata: la moglie ha avuto un brutto incidente d’auto, è stata portata in ospedale d’urgenza. Da quel momento in poi la sua vita e quella della sua famiglia non saranno più le stesse.
“All’inizio del settimo giorno” è un libro che in realtà può essere letto come una sorta di trilogia: nella prima parte ci si concentra sulla vicenda di Camille, sul suo incidente e le conseguenze che questo ha su Thomas, sui figli, sulla madre di lei, Claire; nella seconda lo sguardo si sposta alla montagna, ai Pirenei e alla famiglia di origine di Thomas, nella figura del fratello pastore Jean; nella terza, per finire, si vola fino in Africa per conoscere la sorella di Thomas, Pauline, e completare questa storia.
Il libro prima di tutto una storia di famiglia, che però, nel ritmo e nello stile, ricorda molto un thriller. Pagina dopo pagina si è portati a farsi domande – prima di tutto sul destino dei personaggi, su come siano andate veramente le cose, poi sulle tematiche generali ed esistenziali che ho citato in apertura di pezzo.
Perché Camille ha scelto di percorrere la strada di campagna su cui ha l’incidente, invece della più veloce e sicura autostrada? Per chi era la lampada art déco che Thomas ha trovato nel bagagliaio, in frantumi? E il figlio che la donna aspettava? Era del marito, oppure nel suo presente c’era un altro uomo di cui non sappiamo niente?
E ancora, e ancora. Tutte e tre le parti del libro possono essere lette come delle cacce al tesoro psicologiche ed esistenziali, alla scoperta – o riscoperta – di eventi del presente e del passato che i protagonisti hanno cercato di dimenticare, di cui non hanno mai voluto parlare, che però non sono morti e sepolti.
Thomas è il perno intorno a cui ruota l’intera storia. Lui, e i suoi figli. Perché se c’è una nota positiva in mezzo a tanta desolazione, a tante tragedie, io l’ho vista nei bambini. I bambini sono il futuro, sono la speranza del mondo. A noi – genitori, tutori, adulti – spetta il compito di accompagnarli al meglio nel loro viaggio, fino a che non potranno spiccare il volo e farcela con le loro sole forze.