“Who are we now”: redenzione e maternità nel film di Matthew Newton

Una storia coinvolgente che pecca però nella costruzione e nello sviluppo dei personaggi secondari

Un film di Matthew Newton. Con E.J. An, Helen Beyene, Jason Biggs, Ray Bouderau, Carly Brooke, Myrna Cabello. Drammatico, 99’. USA, 2017

Uscita da poco di prigione, Beth lavora con il suo difensore d’ufficio per ottenere la custodia del figlio dalla sorella Gabby, restia a farla rientrare nella vita del ragazzo. Mentre annega il suo dolore in un bar dopo una disastrosa negoziazione, Beth ha un’avventura con Peter, un marine traumatizzato e spaventato dalle relazioni umane. Poco dopo la donna stringe una strana alleanza con Jess, giovane praticante idealista e testardo, che decide di portare avanti la causa di Beth, che lei lo voglia o meno. Mentre Beth cerca di destreggiarsi nel mondo esterno, Peter e Jess forzano, e alla fine spezzano, la sua dura corazza, facendole capire che bisogna lasciare alle spalle il passato per essere padroni del proprio futuro.

 

Per quanto tempo, dopo aver scontato una pena detentiva, è lecito aspettarsi l’ostracismo sociale e umano altrui? La nostra società è davvero incapace di concedere una seconda chance a chi ha sbagliato, si è pentito, ha pagato e adesso chiede solo di riprendere la propria vita?

Who we are now” rientra in quella categoria di pellicole che, a caldo, lo spettatore e soprattutto il critico sono tentati di liquidare o come un prodotto senza infamia e senza lode oppure, peggio, come un filmetto indegno di far parte di un festival come quello romano.

Ancora una volta il vostro inviato preferisce smarcarsi dalla moltitudine, ma in questo caso non tanto per snobismo o eccentricità quanto piuttosto nella sincera convinzione che Matthew Newton abbia dimostrato talento, coraggio e sensibilità nel pensare e scrivere una storia autentica, profonda e comune a tante persone.

Redenzione e maternità, sebbene siano sulla carta temi molto distanti, trovano nella scrittura fluida e calda di Newton il modo di fondersi con incisività, diventando carne e anima con il personaggio di Beth, una donna provata ma determinata a riprendere in mano la propria vita e soprattutto il tempo perduto, mentre era in carcere, con il figlio.

Julianne Nicholson sfodera probabilmente la migliore interpretazione della sua carriera, calandosi nel ruolo e dimostrando di avere raggiunto la piena maturità artistica. La sua è una recitazione essenziale, asciutta, sofferta, dove il corpo e lo sguardo raccontano più delle parole.

Beth è il cuore e l’anima del film. Intorno a lei ruotano tutti gli altri personaggi, anche loro bisognosi di riscatto e cambiamenti o magari di un affrancamento dall’ombra materna come nel caso di Jess (Roberts), giovane praticante idealista e testardo alla ricerca del proprio posto nel mondo e pronto ad aiutare Beth nella sua battaglia legale per l’affido.

Purtroppo la sceneggiatura si concentra troppo su Beth, non ponendo la stessa attenzione nella costruzione degli altri personaggi. Jess, ad esempio, nonostante sia il coprotagonista della storia, risulta debole, forzato. Discorso analogo vale per Peter, interpretato da Zachary Quinto, potenzialmente interessante ma lanciato in scena in modo sbrigativo e confuso.

È invece davvero stupefacente Jason Biggs, che in un ruolo diametralmente opposto rispetto a quello che lo ha reso famoso e per cui lo ricordiamo maggiormente (Jim Levenstein di “American Pie”) risulta credibile e intenso.

“Who we are now”, sia per la presenza nel cast di molte stelle della Tv sia per lo stile, potrebbe far pensare a un prodotto più adatto per il piccolo che per il grande schermo. Ma questo non deve impedire allo spettatore di sentirsi coinvolto e toccato, nel finale, dalla storia di una donna che nonostante le sue traversie sembra davvero aver capito l’essenza dell’amore materno.

 

Il biglietto da acquistare per “Who we are now” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.