di Paola Calefato
Per capire il mondo che racconta Christina Dalcher in “Vox”, edito da Editrice Nord, iniziate col pensare. Pensate a un mondo in cui le donne non possono pronunciare più di cento parole al giorno, in cui non possono, letteralmente, consolare i proprio cari, in cui non sono altro che oggetti.
In questo universo parallelo il movimento della Purezza – che sostiene la supremazia dell’uomo sulla donna, vista come mero strumento per la riproduzione – è salito al potere negli Stati Uniti.
La protagonista Jean McClellan è una dottoressa, madre di quattro figli. La sua vita piuttosto libera cambia quando i Puri prendono il controllo, rendendo impossibile per le donne lavorare. Nonostante le restrizioni imposte dalla società, Jean vuole comunque crescere i figli come esseri pensanti, e liberi.
“Vox” è un romanzo americano con qualcosa di italiano – non ultime le origini della protagonista -, un distopico spaventosamente attuale e realistico. Nonostante in molti lo abbiano accostato a “Il racconto dell’ancella” di Margarett Atwood a me ha ricordato di più “1984” di George Orwell per le atmosfere inquietanti e per il controllo opprimente esercitato dallo Stato sui singoli.
Il personaggio di Jean è ben caratterizzato, ma la sua forza si manifesta, a mio avviso, un po’ troppo tardi. Non è molto credibile che una donna tanto determinata non abbia combattuto sin dal primo momento contro questa deriva religiosa e fanatica della società ma abbia aspettato di raggiungere il “punto di non ritorno” per farlo.
Come opera prima “Vox” è ampiamente riuscito, inquietante, capace di far pensare. Da buona distopia ci rimanda un mondo deviato che però – come vuole il genere – non è poi così distante dal nostro da non farci pensare a cosa succederebbe, se fosse tutto reale…