Un film di Francesca Archibugi. Con Micaela Ramazzotti, Adriano Giannini, Massimo Ghini, Marcello Fonte, Roisin O’Donovan. Drammatico, 103′. Italia 2019
La piccola Lucilla Attorre soffre di asma e appare subito evidente che sia un’affezione psicosomatica. La madre Susi, insegnante di danza a un gruppo di “culone che vogliono dimagrire”, è sempre di corsa, dimentica le proprie cose dappertutto e trascina qua e là la sua bambina come un carrello della spesa. Il padre Luca è un giornalista freelance “stronzo e sfigatello” con un debole recidivo per le donne. Il fratellastro Pierpaolo è il ricco e viziato erede, da parte di sua madre, di una dinastia di avvocati ammanicati con la politica. In questo quadretto disfunzionale si inserisce Mary Ann, una au pair irlandese cattolica che scardina definitivamente i già precari equilibri domestici. Testimone (quasi) silenzioso degli andirivieni della famiglia è il vicino Perind (soprannome che sta per perito industriale), un tipo inquietante dalle strane abitudini. Riusciranno gli Attorre a sopravvivere o il loro nucleo familiare esploderà definitivamente?
Nel campo della Settima Arte vige ancora la democrazia: tutti – o quasi – hanno il diritto di esprimere la propria opinione, di raccontare storie, di immaginare o mettere in scena la propria visione. Tutto è consentito.
Ecco, probabilmente sarebbe auspicabile – in modo democratico, ci mancherebbe! – un giro di vite sulle libertà concesse in questo senso ai registi e agli sceneggiatori, anche italiani. Non me ne vogliano la signora Archibugi e gli altri stimati autori di “Vivere”, ma è stato il loro lavoro a far nascere in me queste riflessioni.
Quale urgenza narrativa, creativa e umana li ha spinti a firmare questa sceneggiatura – un’improbabile mix tra “Mignon è partita” e “La finestra sul cortile” dove abbondano luoghi comuni e personaggi improbabili? Perché prendere un cast di talento ed esperienza e costringerlo a recitare dialoghi improbabili e quasi grotteschi?
“Vivere”, tra le altre cose, spreca Marcello Fonte, Palma d’Oro a Cannes nel 2018, nel ruolo del vicino guardone, annichilendo le sue naturali doti umane e recitative, e mette insieme Giannini e la Ramazzotti con un risultato forzato.
Dispiace scriverlo, visti gli autori e la regia, ma questo è un brutto film sotto ogni aspetto, indegno di essere presentato alla Biennale. Selezionarlo, togliendo spazio a qualche titolo più meritevole, è stato un errore. Venezia 76 non aveva bisogno di “Vivere”. E neppure io, che adesso devo cercare di riprendermi, dopo questa botta di nulla…