Fresca di laurea, Tia Monroe ha tutta l’intenzione di irrompere sulla scena gastronomica di New York come un ciclone. Ma quando il prestigioso tirocinio a cui ambiva va in fumo come un arrosto dimenticato nel forno, realizza che la strada per il successo è ancora tutta da percorrere. In salita. Così quando le si presenta un autentico colpo di fortuna, Tia lo acciuffa al volo. Michael Saltz, leggendario critico gastronomico del New York Times, le confida un segreto e le fa una proposta: vorrebbe che Tia diventasse il suo palato e la sua ghostwriter. Michael infatti ha perso il senso del gusto, ma una simile ammissione porrebbe fine alla sua prestigiosa carriera. Così i due decidono di aiutarsi a vicenda. Lui mantiene inalterata la sua fama e Tia viene proiettata in un mondo che fino a quel momento ha solo sognato. Ristoranti stellati frequentati dalle celebrità, chef venerati come star di Hollywood. E una successione infinita di portate prelibate da perderci la testa. Per Tia è come essere approdata in paradiso, fino a quando non realizza la più scontata delle verità. Lei scrive gli articoli, e Michael si prende tutti gli onori. Al netto degli abiti firmati che indossa, Tia è ancora al punto di partenza. Ora la domanda è semplice: quanto è disposta a rischiare per la fama e la vita che ha sempre desiderato?
Ebbene sì, di tanto in tanto anche io mi lascio andare a qualche “lettura peccaminosa” in stile narrativa erotica oppure chick lit, di quelle che magari non ti sentiresti poi di consigliare – o nominare – ad anima viva, ma che servono per staccare la spina e apprezzare, se possibile, ancora più di prima i generi che prediligi.
La mia trasgressione, questa volta, ha la forma di una derivazione 2.0 del “Diavolo veste Prada” – di cui, lo vedremo, riprende molti elementi con risultati dubbi – che strizza però l’occhio, invece che al mondo della moda, a quello oggi di gran tendenza del cibo e della cucina. Titolo: “Vita segreta di una gourmet”, autrice Jessica Tom.
Se dovessi scegliere una sola parola per descrivere questo romanzo, la parola sarebbe ‘superficiale’. Il libro della Tom è superficiale nello sviluppo, e soprattutto nella conclusione, nel suo attingere senza criterio ai predecessori del genere, nella figura della protagonista.
Iniziamo da quest’ultimo punto. Tia Monroe, giovane da poco trasferitasi a New York per seguire un master in scienze dell’alimentazione, con il sogno di diventare un’autrice di libri di cucina/giornalista, è altamente insopportabile, lontana anni luce – se vogliamo far partire i parallelismi sin da subito – dall’idea che ci facciamo di Andy nel libro (e soprattutto nel film) “Il diavolo veste Prada”.
Tia non è affatto umile, non pensa di avere qualcosa da imparare, anzi. Tia non si fa nessuno scrupolo a dire sì al progetto che le propone il critico gastronomico Michael Saltz, a intraprendere una sorta di vita parallela ingannando il fidanzato e tutti gli altri. Tia si cala nella parte come una seconda pelle, non ha esitazioni, non ha difficoltà. Sembra nata per fare la snob ben vestita, e per giudicare senza ritegno. In questo non ci sarebbe niente di male, quello che infastidisce è il suo essere anche ipocrita, ad esempio quando si tratta di giudicare con due metri differenti i suoi comportamenti e quelli degli altri, ad esempio del fidanzato.
Che dire poi della presunta professionalità di Tia come critica gastronomica e giornalista. Se inizialmente pensiamo che almeno su questo punto sia inattaccabile, basta vedere come si comporta con il ristorante del “suo” Pascal Fox per cambiare idea. Tia non è una professionista, ma solo una ragazzina chiamata a svolgere un compito più grande di lei. Se non si fa problemi a far declassare alcuni locali – pensando solo dopo, a cose fatte, a quello che questo significa per chi ci lavora -, ma si dice che lo fa per amore di obiettività, le stelle date, nonostante il cibo palesemente non la soddisfi, al Bacushan mettono in evidenza la sua inesperienza, i suoi limiti. Dove va a finire il rapporto coi lettori, il patto di fiducia, scusate? Ma soprattutto, un professionista cadrebbe mai così in basso solo per lisciare le penne a un uomo/donna con cui esce da due giorni? È anche nella facilità con cui Tia pensa che quella recensione ottima – e fasulla – possa spianare la strada alla sua relazione con Pascal che ci rendiamo conto di quanto sia, effettivamente, infantile.
Dopo tutto, quando le cose vanno alla deriva e i suoi segreti le si ritorcono contro, non si riesce in alcun modo a provare pena per lei. Anzi, io ho pensato solo che si era meritato quello e anche di peggio – e che degli amici pronti a sostenerla e qualcuno disposto a farla passare per vittima e darle anche una seconda chance erano decisamente troppo.
Che dire delle riprese, a tratti fin troppo evidenti, del “Diavolo veste Prada”. L’idea alla base del romanzo – la studentessa appassionata di cucina alle prese con la Grande Mela e le sue tentazioni, culinarie e non – poteva avere il suo perché. Personalmente ho trovato che voler riprendere troppo da vicino il libro di Lauren Weisberger e il film con Anne Hathaway e Maryl Streep sia stata una forzatura e abbia finito per nuocere a questo, di progetto.
Passi per la trama – il fidanzato storico messo da parte, il “patto col diavolo” che Tia fa aspirando a qualcosa di meglio non appena il periodo sarà passato -, ma c’era bisogno, ad esempio, di inserire la parte sugli abiti di alta moda e sulla trasformazione della protagonista, che da sciatta e normale diventa di classe, attenta al suo aspetto, curata? Perché sottolineare tanto questo elemento, quando il centro del discorso, qui, dovrebbe essere il cibo? Fa solo risultare Tia ancora più superficiale, frivola e materialista.
Anche lo sviluppo della storia, e la gestione del finale, rendere “Vita segreta di una gourmet” tremendamente superficiale. In poche pagine su Tia si abbattono una serie di mazzate che la fanno, per certi versi, tornare in sé, la ragazza decide di smascherare il piano del critico che l’ha incastrata e di pagarne le conseguenze. Ok. Ma che dire della facilità con cui archivia la storia con Elliott dimostrandosi pronta a passare oltre? Nemmeno un interludio di tristezza o di chiarimento. Niente.
E poi, per chiudere in bellezza, sarò cinica io, sarò poco sentimentale, ma per una volta un finale agrodolce, possibilista magari, ma non necessariamente lieto credo che sarebbe stato meglio. Invece, chiaramente, non importano le cose poco etiche, poco professionali, addirittura squallide che fai, in romanzi come questo finisce sempre per vincere tu. Bha.