“Vice – L’uomo nell’ombra”: un biopic brillante, irriverente, forsennato

Christian Bale e Amy Adams prestano il volto alla "power couple" che ha dominato l'amministrazione Bush

Un film di Adam McKay. Con Christian Bale, Amy Adams, Steve Carell, Sam Rockwell, Tyler Perry, Alison Pill. Biopic, 132′. USA, Gran Bretagna, Spagna, Emirati Arabi Uniti 2018

Negli anni Settanta Dick Cheney sta con una ragazza davvero in gamba, Lynne, che riesce a farlo ammettere all’Università, dove lui però viene travolto dal gozzovigliare da college e, tra una sbornia e l’altra, finisce per farsi espellere. Non contento, continua a bere anche mentre lavora ai pali della corrente elettrica, finisce in una rissa e viene arrestato per guida in stato di ebrezza. A quel punto Lynne gli dà un ultimatum: o diventa la persona di potere che lei in quanto donna non può essere ma può aiutare e guidare, oppure tra loro è finita. La storia è nota: i due diventeranno una “power couple” di Washington e domineranno placidamente, quasi nell’ombra, l’amministrazione di George W. Bush, tra le più devastanti per la democrazia americana.

 

Che Christian Bale fosse attore di un certo livello e spessore lo sapevamo già. Che il regista Adam McKay sapesse usare la macchina da presa e la scrittura come strumenti per una satira pungente pure. Le aspettative per “Vice – L’uomo nell’ombra”, che li vede impegnati insieme ad artisti del calibro di Amy Adams, Steve Carell e Sam Rockwell, insomma, erano alte.

Ebbene, il film non delude assolutamente. Partendo dalla presidenza di Nixon, abbraccia un periodo di storia americana di cinquant’anni, raccontando la storia di Dick Cheney (Bale) e della moglie Lyenne (Adams), da sempre sua roccia e braccio destro.

Quasi come in una partita di scacchi dove comandano re e regina, l’ascesa dell’uomo è  brillante e studiata dalla scaltra moglie, ma porta anche il pubblico a conoscere i meccanismi oscuri della poltica, dove non tutto va secondo i piani e bisogna saper sacrificare molto per avere successo.

“Vice” è un film brillante, come dicevo inizialmente, non tanto per la trama, nota, né per il suo mettere al centro la fascinazione del potere politico in quanto tale, ma piuttosto per il suo mostrare come un sogno possa essere costruito e raggiunto attraverso una precisa strategia.

Il montaggio serrato, forsennato, eccentrico, a volte ironico, è geniale. Uno stesso dialogo viene mostrato in due scene contrapposte di taglio diverso; il finale, con il viale del tramonto con taglio su nero, si rianima con una telefonata improvvisa.

Il cast, superbo, è parte di questo processo di narrazione serrata, incentrata sui personaggi e sulla loro evoluzione (crollo e ascesa compresi). Christian Bale è un Dick Cheney credibile e misurato.

McKay è bravo a bilanciare dramma e ironico cinismo. Dopo “La grande scommessa” il regista non si smentisce e firma un film più maturo e consapevole, con al centro la politica, i suoi lati oscuri, quello che normalmente non vediamo – o preferiamo fingere di ignorare.