Un film di e con Bartabas. Documentario, 93′. Francia 2019
35 anni in compagnia di Zingaro, il maestoso e nero cavallo frisone che ha dato il nome al suo circo teatrale e ha creato la sua leggenda. Il “Re dei Cavalli” Bartabas (al secolo Clément Marty) ripercorre la sua opera artistica con un viaggio iniziatico tra passato e presente che riassume la sua poetica, le coreografie, un’idea del teatro e dell’arte che sono vita e pensiero, forma e bellezza sublimati nel rapporto tra l’uomo e l’animale.
Ho davanti a me tre opzioni per scrivere l’ultima recensione di Venezia 76, quella del documentario “Time of the untamed” di Bartabas, al secolo Clément Marty, presentato nelle Giornate degli autori.
- Interrogarmi ancora una volta sulla misteriosa vita della direttora Turilizzi e soprattutto sui suoi gusti e sugli hobby, che inevitabilmente la condizionano al momento di stilare l’ormai famigerata “lista”;
- Scrivere al delegato generale Giorgio Gosetti per chiedergli se abbia visto di persona il film in questione prima di inserirlo in scaletta, oppure si sia fidato del giudizio di qualche collaboratore “a scatola chiusa”;
- Dichiarare pubblicamente il numero di spettatori paganti, oltre che di critici e giornalisti, che sono fuggiti al galoppo dalla sala… a proiezione in corso.
Ci lamentiamo tanto di come il teatro italiano sia una sorta di Cenerentola agonizzante tra le arti, abbandonata dal pubblico e dalle istituzioni. Ebbene, cari lettori, non ho esperienza diretta della situazione francese, ma dopo questo film posso dire che difficilmente il comparto troverà in me un fiero sostenitore.
Dalla cartella stampa apprendiamo che Bartabas è “pioniere di un’espressione senza precedenti, dove si coniugano arte equestre, musica, danza e teatro; inventore di una nuova forma di esibizione dal vivo”.
Ecco, il suo scivolone è tutto qui, nell’aver voluto portare al cinema la sua arte. I suoi spettacoli sono eventi unici in quanto vissuti dallo spettatore in presa diretta; sono esperienze sensoriali, visive ed emotive che traggono la loro forza da un’esperienza fisica e condivisa. Spostandoli in sala finiscono per perdere la loro magia.
“Time of the untamed”, basato su decenni di registrazioni delle performance, è stato venduto come un “viaggio interiore attraverso epoche e culture”. In realtà, per me, è stato solo una noiosa forma di auto-celebrazione, realizzata senza spiegarne bene il fine, un’operazione cinematograficamente deludente.
Non ce ne vorrà il sicuramente talentuoso Bartabas, ma dopo solo pochi minuti di visione scatta la sensazione di avere davanti una sorta di “filmino del matrimonio”, che ben poco lascia trasparire della grandezza artistica del personaggio.
Alla fine resta una grande consapevolezza: andate a teatro, vivete quell’esperienza unica in presa diretta, non importa come, dove e quando. Perché vedere uno spettacolo – o peggio, una serie di stralci – sul grande schermo non potrà rimandarvi che una piccola, piccolissima parte di quell’esperienza.