di Daniela Lanciotti
Nel 1480 un giovane romano, cadendo in una cavità del terreno sull’altura del colle Oppio, si ritrovò in una sala bizzarra ed eccentricamente decorata.
La grotta scoperta, inizialmente creduta un ambiente delle Terme di Tito, era in realtà il soffitto a volta interrato della villa di Nerone, la Domus Aurea.
La struttura fu fatta costruire dall’imperatore dopo l’incendio del 64 d.C. durato sette giorni e venne progettata dagli architetti Severo e Celere. Compresa tra il Palatino, l’Esquilino e colle Oppio, la Domus Aurea era costituita da un edificio con 150 stanze e 80 ettari di giardini, vigneti, boschi, stagnum e ninfei.
La Domus Aurea abbracciava tutta Roma. -Plinio
Il ritrovamento delle grotte diede inizio a un pellegrinaggio di appassionati antiquari e artisti rinascimentali, che calandosi con corde dai buchi aperti nel terreno iniziarono una vera e propria esplorazione degli antichi ambienti romani.
Si scavarono tunnel 40 metri sottoterra per passare da una sala all’altra e poter studiare e apprendere i motivi delle estrose pitture parietali.
Michelangelo, Giovanni da Udine, Pinturicchio, Botticelli e Raffaello, per citare solo alcuni nomi, furono frequentatori costanti delle grotte.
La necessità di addentrarsi nelle grotte per poter osservare le pitture conferì a queste il nome di “grottesche”.
Scrisse Francisco de Hollanda riguardo l’esperienza del calarsi nelle grotte:
Andiam per terra con nostre ventresche con pane con presutto poma e vino per esser più bizzarri alle grottesche.
Grazie all’intraprendenza degli artisti rinascimentali si cominciò a diffondere una valida idea del mondo antico e delle decorazioni neroniane, rendendo evidente e significativo l’ascendente sugli stilemi del tempo.
Espressioni metaforiche, allegorie di figure fantastiche, animali antropomorfi, cornucopie e ornamenti floreali, e ancora sfingi, arpie, prospettive architettoniche, foglie d’acanto, ghirlande di frutta, putti e conchiglie, riuniti al fine di creare spazi allusivi e contenuti dal significato equivoco, si ritrovano in molte opere del periodo.
Con la scoperta della villa di Nerone gli artisti iniziarono dunque a introdurre nei loro lavori le decorazioni “a grottesca”, e molti degli affreschi del tempo furono influenzati dal ritrovato gusto classico.
Nel 1519, sotto papa Leone X, Raffaello Sanzio venne chiamato ad affrescare le camere e la loggia del pontefice. Il motivo scelto per la loggia fu interamente a grottesca: scene bibliche incorniciate da architetture illusionistiche collegate da preziosi ornamenti pittorici, angeli, uccelli entro paesaggi campestri, in linea con la moda del tempo.
Nel 1553 Giorgio Vasari venne chiamato ad affrescare la loggia del palazzo di Bindo Altoviti, banchiere fiorentino a servizio del papa Giulio III. Il palazzo si trovava davanti Castel Sant’Angelo, dove rimase fino al 1876 quando venne demolito per la costruzione degli argini del Tevere.
Il Vasari, insieme a Giovanni da Udine, eseguì le grottesche tutte intorno al grande ovale raffigurante scene mitologiche dell’Omaggio a Cerere, in spazi delimitati da illusionistiche architetture.
Oggi gli affreschi, dopo lo “strappo” subito per la conservazione dalla demolizione dell’edificio, sono stati restaurati, rimontati e conservati a Palazzo Venezia.
Negli anni la decorazione a grottesca ebbe seguito anche fuori Roma. La si ritrova a Caprarola nel Palazzo Farnese, a Tivoli nella Villa d’Este.
La tendenza classicheggiante si diffuse fino al granducato di Toscana, dove Francesco I de’ Medici commissionò le volte della galleria degli Uffizi, affrescate da Antonio Tempesta tra il 1579 e il 1581.
L’ampia diffusione delle grottesche generò anche aspre critiche col passare del tempo. Tali decorazioni vennero ritenute prosaiche e superficiali, frutto di una crisi ideologica, banali ornamenti di una pittura frivola e miscredente. Contestualmente alle prime censure della Controriforma venne messo in discussione l’intero genere.
Tra i principali detrattori, il Cardinale Gabriele Paleotti che condannò apertamente le forme ibride della natura e l’aspetto fortemente pagano della pittura tardo rinascimentale nel suo “Discorso intorno alle immagini sacre e profane” (1582).
Il vigore delle politiche teologiche e liturgiche, e le riforme introdotte con il concilio di Trento (1545-1563) allontanarono dalle rappresentazioni artistiche i motivi allegorici, arcani ed enigmatici, per favorire raffigurazioni dottrinali e didascaliche.
Ma fu con l’avvento dei nuovi tratti seicenteschi che le grottesche vennero tacciate di manierismo superato e accantonate per tutto il secolo.
Nel XVIII secolo, a seguito delle scoperte di Pompei ed Ercolano (1748), le grottesche tornarono a influenzare l’arte contemporanea, alimentando un interesse che contribuì alla nascita dell’archeologia moderna nel 1764 e del Neoclassicismo.
Le scoperte archeologiche del 1480 a Colle Oppio e del 1748 di Pompei, a distanza di secoli, testimoniamo il ciclico ritorno dell’interesse per gli elementi classici, e l’immutata influenza che essi avranno nelle principali correnti artistiche successive.