Nove giugno 2234. La nave da ricognizione Mercury ritrova presso la galassia di Larterus una navetta monoposto di origine terrestre; al suo interno un essere umano criogenizzato. In un mondo in cui i sentimenti sono oramai dimenticati, il comandante Haven si trova faccia a faccia con Daniel, un ragazzo privo della sua memoria e proveniente da un’altra epoca. Le seguenti indagini svelano gli avvenimenti e lo scopo della missione “Space Runners” a cui Daniel aveva preso parte. Una missione che interessa al comandante molto più di quanto egli creda…
Che un così esiguo numero di pagine possa contenere tanti spunti e che attraverso di loro l’autore possa riuscire nell’impresa non semplice di provocare reazioni forti ed emozioni in chi legge trovo che sia una cosa fantastica. Il segno evidente, tangibile, della bontà di un’idea, di una storia, di uno stile.
Space runners è un libro particolare, prima di tutto per come è costruito. Chi, come me, non è troppo abituato a storie fantascientifiche e spaziali potrebbe trovarsi spiazzato, di primo impatto, davanti alle stringhe di codice, alle istruzioni e ai comandi di navette e computer riportate nero su bianco come fossero parte integrante della storia. Perché inserirle? Potreste ritrovarvi a pensare. Inizialmente, perché basta davvero poco perché questa narrazione prenda il suo ritmo, le scelte dell’autore si inseriscano in un progetto ben congegnato e il lettore venga trasportato lontano nel tempo e nello spazio, insieme ai protagonisti.
La magia, secondo me, sta soprattutto nel notare come anche una storia come questa, raccontata in modo “freddo”, quasi cronachistico – un rapporto su una missione fallita, stando alla sinossi – possa riuscire a coinvolgere. Le schede compilate dal comandante della Mercury e dal medico sono tecniche e puntuali, e ciò nonostante prendono vita, grazie soprattutto alle registrazioni degli avvenimenti del passato, che vengono inserite come inframezzo tra questi estratti di presente.
Il viaggio di Daniel, la missione, il personaggio di Claire, ma anche quelli degli altri novantotto space runners – per quanto poco caratterizzati e del tutto anonimi – hanno un che di struggente. Di struggente sul serio. Aver visto da poco “Interstellar” al cinema deve aver giocato un suo ruolo nella mia percezione delle vicende: prima di tutto ho potuto comprendere certi termini tecnici che forse, altrimenti, mi avrebbero creato dei problemi (vedi, ad esempio, criogenesi e affini), ma soprattutto il tema della solitudine da viaggio nello spazio profondo mi ha richiamato alla mente immagini ben precise. Forse sono semplicemente una persona molto sensibile. Fatto sta che ho provato emozioni forti, leggendo queste poche paginette.
Il finale della storia – quella che è accaduta nel passato e che ci viene svelata dalle registrazioni, così come quella del presente che viene annotata passo passo nel rapporto – forse era già scritto. Eppure non ho mai provato la sensazione di sapere già cosa sarebbe successo, di leggere qualcosa di scontato. Federico è stato davvero bravo a costruire un ingranaggio che gira alla perfezione, alternando gli stili e le voci in campo.
La trama del libro mi aveva incuriosito fin dall’inizio, ma confesso che non mi aspettavo di restare così colpita. Mi sono emozionata per davvero, come non mi capitava da un po’. E questo è un gran punto di merito per il romanzo.