“Servo e serva”: recensione del romanzo di Ivy Compton Burnett

Fazi editore continua la pubblicazione dell'opera della scrittrice inglese, autrice di 20 romanzi

Dopo “Più donne che uomini” e “Il capofamiglia”, accolti dal pubblico con grande entusiasmo e recensiti su Parole a Colori, Fazi editore prosegue la pubblicazione dell’opera di Ivy Compton-Burnett, autrice fondamentale del Novecento inglese amata dai più grandi scrittori, con il romanzo Servo e serva, uscito il 26 agosto.

Il nobile Horace Lamb, tirannico, sadico e avaro, trascorre le giornate vessando la servitù e i figli (ma non la consorte: fra i due è lei quella ricca). Insieme a lui e alla moglie Charlotte vive il cugino Mortimer, uomo al contrario molto pacifico, che non si è mai sposato, è nullatenente ed è segretamente innamorato di Charlotte, la quale altrettanto segretamente lo ricambia.

Quando la donna parte per un viaggio in America l’equilibrio della casa traballa: il nuovo precettore dei bambini, Gideon, la sua opprimente madre Gertrude e la remissiva sorella Magdalen entrano con prepotenza nelle dinamiche familiari e rimescolano le carte in tavola…

Tra i venti romanzi che ha scritto, Ivy Compton-Burnett (1884-1969) considerava “Servo e serva” il suo preferito, insieme al “Capofamiglia”. Per chi, come la sottoscritta, ha iniziato a scoprire questa autrice inglese con le pubblicazioni Fazi degli ultimi anni è impossibile non ritrovarci all’ennesima potenza i suoi tratti salienti, quelli che la rendono unica e amatissima dal pubblico.

Sotterfugi, cattiverie, dialoghi avvelenati, personaggi che attraverso le parole (e le azioni, va detto) si svelano al lettore per ciò che sono davvero. In questo caso anche la servitù che orbita intorno alla famiglia Lamb conquista a poco a poco la scena, aprendo la storia a tematiche meno astratte e più concrete (le ambizioni di un giovane domestico, l’influenza delle origini sullo sviluppo di un individuo, l’analfabetismo e via dicendo).

Ma al di là di tutto “Servo e serva” è soprattutto un’esilarante tragicommedia della quotidianità, giocata tra le quattro mura domestiche e nella campagna circostante. Il tirannico Horace spadroneggia su figli e servi, poi si ravvede e cambia atteggiamento, scopre la potenziale tresca tra cugino e moglie che si sta svolgendo sotto il suo stesso tetto, rischia di lasciarci le penne in seguito a due tragiche sviste (?). 

Nonostante il personaggio sia caratterizzata in senso palesemente negativo, e non si possa non provare una certa compassione per i cinque figli costretti, ad esempio, a patire il freddo dentro casa o a indossare abiti fuori misura per recarsi a messa, e per la moglie Charlotte, che oltre tutto sarebbe ricca, è impossibile anche non lasciarsi conquistare. Perché la sua figura e le sue battute sono intrise di così tanta ironia e cattiveria che ci si lascia, inevitabilmente, trasportare.

Un romanzo scritto in modo magistrale, pungente, esilarante. Nuovo punto messo a segno dalla Fazi nella sua opera di pubblicazione di autori anglosassoni dell’Ottocento e Novecento di cui, dalle nostre parti, si erano colpevolmente perse le tracce.