RomaFictionFest | Diario di bordo | Public enemy, Madiba

Quarta giornata del RomaFictionFest nel segno delle tematiche sociali, tra potere rieducativo della prigione e affermazione dei diritti civili. Il vostro cronista ha seguito in particolare due serie molto attese, presentate in anteprima mondiale, “Madiba” e “When we rise”.

 

PUBLIC ENEMY

Belgio, 2016, S1, Ep.10×60′. Con Stephanie Blanchoud, Angelo Bison, Clement Manuel

Tutti hanno diritto a una seconda chance e chi ha pagato il proprio debito con la giustizia dovrebbe poter tornare in società senza essere più considerato una mela marcia. La pena detentiva dovrebbe assolvere il compito di rieducare una persona.

Eppure ci sono alcuni reati per cui questi principi non sembrano valere – pensiamo alla pedofilia, all’omicidio. Chi si macchia dell’uccisione di un bambino può essere perdonato? Potrà mai essere considerato “rieducato” anche dopo decenni dietro le sbarre?

Domande da cui hanno preso spunto gli autori della serie belga “Public enemy” per costruire un avvincente e cupo thriller psicologico, ispirato alla storia del mostro di Marcinelle che anni fa sconvolse con i suoi orribili delitti l’opinione pubblica fiamminga.

Guy Beranger (Angelo Bison), un pericoloso assassino di bambini, giunto al termine della pena detentiva viene rilasciato in libertà vigilata e affidato in custodia ai monaci dell’abbazia di Vielsart. Quando però una bambina del villaggio vicino scompare gli abitanti della zona si scatenano contro “il mostro”.

Angelo Bison, famoso in Belgio soprattutto come attore teatrale, alla prima esperienza televisiva, si dimostra a suo agio in un ruolo tanto difficile. La sua recitazione minimal, che si avvale molto dello sguardo misterioso e magnetico, conquista lo spettatore rievocando, senza sfigurare, lo straordinario Anthony Hopkins del “Silenzio degli innocenti”.

“Public enemy” crea una grande tensione narrativa fin dal pilot e porta lo spettatore dentro questa piccola realtà dove si muovono personaggi solo in apparenza ingenui e innocenti.

La struttura narrativa, anche se di stampo teatrale, risulta vincente con il suo basarsi più sui silenzi che sulle parole. Ne consegue un’atmosfera cupa, angosciante, inquietante che mette in evidenza come nessuno è veramente innocente.

Un thriller psicologico che tiene sulla corda fin dalle prime battute, producendo un intenso pathos e ritmo narrativo, La caccia al vero mostro è iniziata e lo spettatore non potrà non seguire le altre puntante, sperando di poter rivedere sana e salva la bambina scomparsa nella tana del lupo.

 

MADIBA

Canada, Sudafrica, 2017, S1, Ep.6×60′. Con Laurence Fishburne, Orlando Jones, David Harewood, Michael Nyquist, Terry Pheto, Jason Kennett, Hlomla Dandala, Merren Reddy

Madiba è il nome ancestrale del clan di Nelson Rolihlahla Mandela. La serie scritta da Avie Luthra e Jane Maggs racconta gli eventi che hanno segnato la formazione del grande politico sudafricano, le amicizie, i rapporti personali, le alleanze politiche, il legame che ha condiviso con i due uomini che gli sono rimasti sempre accanto, nei giorni dei più grandi trionfi così come in quelli più bui.

Laurence Fishburne è Nelson Mandela e anche la voce narrante che accompagna lo spettatore in questo viaggio nel Sud Africa che fu, dove apartheid non era solo una parola ma un principio discriminante portato avanti dal governo.

L’apartheid fu dichiarato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite del 1973, entrata in vigore nel 1976, e successivamente inserito nella lista dei crimini contro l’umanità. Per estensione, il termine è oggi utilizzato per indicare qualunque forma di segregazione civile e politica a danno di minoranze, ad opera del governo di uno stato sovrano, sulla base di pregiudizi etnici e sociali.

Il termine fu utilizzato, in senso politico, per la prima volta nel 1917 dal primo ministro sudafricano Jan Smuts, ma solo dopo la vittoria del Partito Nazionale nelle elezioni del 1948 l’idea venne trasformata in un sistema legislativo compiuto.

“Madiba” è il racconto di questa vergognosa pagina della storia dell’umanità. Il merito della serie è di rendere il tutto vivo, semplice, concentrandosi sul lato più intimo e umano del leader sudafricano che dedicò tutta la vita alla lotta contro la discriminazione, anche a costo di sacrificare il rapporto con i figli e le mogli.

L’impianto drammaturgico e registico è magari eccessivamente didascalico, con un ritmo narrativo piuttosto blando, ma la serie si rivela nel complesso godibile, piacevole da vedere.

Laurence Fishburne sfodera una performance asciutta, esperta, solida, ma senza quel guizzo emotivo capace di bucare lo schermo e di rendere memorabile un ruolo così importante.