A oggi quella raccontata in “Il giorno dei morti” – quarto capitolo della serie di Maurizio De Giovani ambientata nella Napoli degli anni ’30 – è l’indagine del commissario Ricciardi che mi ha maggiormente colpita e coinvolta.
Il che è buffo, se si pensa che non è neppure una vera indagine. Perché il commissario non dovrebbe indagare, essendo in vacanza per qualche giorno; perché non dovrebbero esserci casi aperti, vista l’imminente visita di Mussolini in città.
Ma la morte di un bambino, ritrovato per la strada, vegliato solo da un cane, un bambino di cui nessuno sembra interessarsi, spingono Ricciardi a mettersi ancora una volta sulla strada. Perché non riesce ad archiviare la storia come morte accidentale – come suggeriscono le evidenze e anche gli esami del medico legale?
Stranamente perché il Fatto, che lo tormenta da quando era un bambino, questa volta non si manifesta. Ebbene sì, dopo tre romanzi, non c’è nessuna anima del morto, sulla scena del delitto, a ripetere come un mantra il suo ultimo pensiero allo sventurato commissario. E questo, invece di rasserenarlo, gli dà da pensare…
Soprassedendo sulla trama, e tornando alle mie riflessioni, questa indagine-non indagine mi ha profondamente toccata. Il fatto che la vittima fosse un bambino ha tirato in ballo il mio cuore di mamma – credo sia naturale proiettare la propria vita e le proprie esperienze nei libri che si leggono, voi che ne pensate?
È triste e crudele, leggere le digressioni che raccontano della vita del piccolo Tettè, preso in giro dagli altri orfani con cui divide la stanza fredda messa a disposizione dal parroco, malmenato, vessato.
Ma ancora più triste è pensare che non si tratti solo di finzione, che scene come quelle sono accadute davvero nelle nostre città a inizio secolo, e accadano tutt’ora. Forse non qui in Italia, ma non serve andare chissà dove per trovare esempi di infanzia negata e abusi.
Ecco, “Il giorno dei morti” è stata una lettura che mi ha colpita allo stomaco, una lettura che ha trasceso il giallo e la storia di Ricciardi e degli altri – anche se, ancora una volta, la trama orizzontale è intrigante quanto se non più dei casi in sé per sé – per proiettarsi su un piano altro.
E quando un’opera di narrativa, di finzione, riesce a far riflettere, a far guardare nella giusta prospettiva le fortune che abbiamo nella nostra vita e a interrogarsi su quanto è accaduto e ancora accade a pochi passi da noi… penso che abbia superato la sua ragione d’essere!
Unico punto di domanda: ma possibile che nella Napoli di Ricciardi le condizioni climatiche siano sempre eccessive ed esagerate, qualsiasi esse siano? L’estate è stata torrida, tremenda, da zona desertica. L’autunno, adesso, ha portato una pioggia come non se ne vedevano da decenni, cataratte aperte nel cielo. Non so perché, questo clima estremo mi trasmette sempre la sensazione di caricatura, crea un’immagine quasi da graphic novel – avete presente “Sin city” oppure “Il corvo”? Non è detto che sia un male.