Un film di Paolo Strippoli. Con Fabrizio Rongione, Cristiana Dell’Anna, Francesco Gheghi, Aurora Menenti. Drammatico, 93′. Belgio, Italia 2022
Roma è sommersa dalla pioggia. Le fogne tracimano, i tombini saltano. Incappucciati e zuppi vagano per la città Thomas e la sua famiglia. Lui, il padre, francese da tanti anni in Italia che si destreggia tra diversi lavori per tenere in piedi la famiglia; Enrico, il figlio, adolescente tutto silenzi e frasi come lame; Barbara, la figlia, bambina di sorrisi e affetto dal suo trono che è la sedia a rotelle. Non ha una moglie e una madre questa famiglia: Cristina non è sopravvissuta all’incidente che ha messo sulla carrozzina la figlia e sfregiato il figlio. Si sta rompendo, la vita di Thomas e dei suoi. Come si stanno rompendo le vite degli altri, amici, vicini, sconosciuti. Dalle fogne e dagli scarichi viene fuori una nebbia che ti entra in corpo e ti fa uscire fuori tutto il male che hai accumulato dentro. Il male che tutti hanno.
Ognuno di noi pensa di essere una brava persona, ma in realtà molti nascondono una parte malvagia, che talvolta può emergere con violenza e ferocia. D’altra parte basta prendere il giornale per leggere di raptus omicidi o gesti folli compiuti da chi, fino al giorno precedente, era “irreprensibile, gentile, cordiale”.
Paolo Strippoli, con il suo secondo film “Piove”, presentato in anteprima ad Alice nella Città e in uscita al cinema, propone in modo creativo ed efficace e in chiave horror la sua personale visione della cattiveria e ferocia dell’uomo.
In una Roma sommersa dalla pioggia (pioggia che ha anche un valore simbolico) si muovono i personaggi, circondati da un clima di rabbia, insofferenza e desiderio di vendetta crescenti. Le persone, in apparenza senza motivo, sembrano pronte a uccidersi a vicenda. C’è una ragione oppure deve ricondursi tutto a un elemento sovrannaturale e maligno?
“Piove” è un film cupo, estraniante, dal ritmo forse eccessivamente compassato ma con buoni interpreti. Tre parti che mettono in evidenza, anche visivamente, la spirale autodistruttiva in cui sembra star precipitando la nostra società.
Il finale, seppure sbrigativo e semplificato rispetto all’intreccio, lascia almeno la speranza che il futuro possa rivelarsi meno cupo, se lo costruiremo sull’amore, prendendo spunto dal candore dei bambini.