Uscito per Neri Pozza il 6 maggio, “Piccoli piaceri” di Clare Chambers è uno di quei romanzi storici che mi piace definire “quotidiani”, semplici e lineari, quasi banali, in apparenza, ma che poi, poco a poco, svelano tutte le loro sfaccettature e drammaticità. Perché c’è poco da fare: è la vita di tutti i giorni, tra famiglia, lavoro e piccoli svaghi, a dare il là alla maggior parte dei drammi.
Londra, 1957. Sulle pagine del North Kent Echo, un piccolo giornale locale, appare un trafiletto che parla dei progressi negli studi sulla partenogenesi: gli esperimenti compiuti su ricci di mare, rane e conigli fanno ipotizzare che la si possa applicare anche all’uomo. A seguito dell’articolo, la redazione viene invasa da una valanga di lettere indignate. Ne arriva però anche una alquanto singolare.
A scriverla è una certa Gretchen Tilbury, residente a Sidcup, che dichiara di aver dato alla luce una bimba quando era ancora vergine. L’affermazione suonerebbe priva di qualunque fondamento, se non fosse che, nel lasso di tempo in cui asserisce di aver concepito la figlia per partenogenesi, Gretchen Tilbury era ricoverata presso la clinica St. Cecilia di Broadstairs, dove ha trascorso mesi a letto, a causa di una grave forma di artrite reumatoide, dividendo la corsia con altre tre giovani donne, assistite da suore e infermiere.
A fare luce sul controverso caso viene inviata Jean Swinney, responsabile delle rubriche di economia domestica e unica donna nella redazione dell’Echo. Trentanove anni e alle spalle un’esistenza fatta di aspettative deluse, Jean ha imparato da tempo a sopravvivere grazie ai piccoli piaceri quotidiani che la vita concede, quando non è troppo avara. Mentre indaga per scoprire se si tratta di un miracolo o di una frode, Jean stringe, con i Tilbury, un legame destinato a cambiare profondamente la sua esistenza tranquilla e abitudinaria. Ma quale sarà il prezzo da pagare per conoscere la verità?
“Piccoli piaceri” è un romanzo ricco, multiforme. Superate le reticenze iniziali, quelle che potrebbero sorgere in voi davanti alla prima parte della storia, piuttosto compassata, e vedrete che ne vale la pena. Perché dall’incontro tra Jean e i coniugi Tilbury, a seguito di un trafiletto sul giornale, si sviluppano diverse, intriganti, linee di racconto.
Da una parte abbiamo Jean e la sua vita, che permette di gettare uno sguardo molto approfondito sulla condizione di una “zittella” di 39 anni nell’Inghilterra degli anni ’50, divisa tra il lavoro come giornalista (cosa alquanto rara) e la convivenza con la madre anziana e dispotica. Jean sembra a suo agio con la sua vita, arresa all’inevitabile scorrere del tempo sempre uguale per molti versi.
L’incontro con Gretchen e con la sua storia all’apparenza incredibile apre la strada per lei a grandi e piccoli sconvolgimenti. Sul lavoro, prima di tutto, dove la donna si trova a indagare su eventi avvenuti oltre dieci anni prima. E poi nella sfera personale/sentimentale dove scoprirà emozioni archiviate da tempo e altre completamente nuove.
La storia di Clare Chambers parla d’amore – filiale e familiare, romantico nelle sue diverse sfumature, ma anche amore per il lavoro e la verità – ma contiene anche elementi propri del giallo, per quanto soft, e soprattutto una grande imprevedibilità. Il finale, poi, l’ho trovato perfetto nel suo essere inesorabile, drammatico e terribile.
Il romanzo si apre con il racconto di un disastro ferroviario (realmente accaduto). Ma mentre si legge quasi ci si dimentica di quell’incipit, e che quello che stiamo leggendo, cronologicamente, è avvenuto prima. E poi il finale. Che chiude il cerchio, per molti versi, ma lascia anche grandi punto di domanda. E che, soprattutto, lascia nel lettore un’impressione vivida e una forte emozione. E alla fine è con quella in mente, che si archivia “Piccoli piaceri“.