Un film di Claudio Caligari. Con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia d’Amico, Roberta Mattei. Drammatico, 100′. Italia, 2015
Ostia, 1995. Vittorio e Cesare sono amici da una vita, praticamente fratelli. Cresciuti in un quartiere degradato campano di espedienti, si drogano, bevono e si azzuffano con altri sbandati come loro. A casa Cesare ha una madre precocemente invecchiata che accudisce una nipotina malata, la cui madre è morta di Aids. Vittorio invece sembra non avere nessuno al mondo, e quando incontra Linda vede in lei una possibilità di costruire una vita normale. Trova lavoro e cerca di coinvolgere anche Cesare, che nel frattempo si è innamorato di Viviana, una disperata come lui ma piena di voglia di costruirsi un futuro. Riusciranno Rosencrantz e Guildenstern a diventare protagonisti della loro vita?
Generalmente diffido dei film che vengono pubblicizzati ed esaltati troppo dalla critica durante i festival. Temo in modo particolare i “pacchi” alla veneziana, recapitati direttamente dalla kermesse di casa nostra, dove spesso si tende a scambiare il metallo grezzo per oro.
Quando due giorni fa ho ascoltato i servizi dei corrispondenti dalla Laguna, tutti entusiastici, e ho letto esaltate recensioni di critici, finora molto misurati, su “Non essere cattivo”, però, ho deciso di dare una chance postuma a Claudio Caligari.
Di questo regista, prima, non avevo visto alcun lavoro, anche se avevo letto sul web della sua filosofia narrativa tutta protesa a raccontare il mondo degli emarginati, della periferia e della microcriminalità.
Con questo film, Caligari porta lo spettatore indietro nel tempo, direttamente nei favolosi e contraddittori anni ’90, già protagonisti di una serie di successo lo scorso autunno. Questa volta, però, non ci troviamo nella grande metropoli, ma ad Ostia ed è qui che cercano di sopravvivere, con qualsiasi mezzo, una serie di personaggi che sembrano usciti direttamente dalla penna di Pier Paolo Pasolini.
Lo spettatore vede scorrere sullo schermo immagini di desolazione, solitudine e tristezza umana e non può non fare collegamenti, nella sua mente, tra “Non essere cattivo” e altre famose pellicole come “Trainspotting” e “I Vitelloni”, pervase da emozioni per certi versi analoghe. L’atmosfera che si respira è quella di una periferia che non è cambiata dal passato al presente, che presenta sempre gli stessi peccati e gli stessi vizi strutturali.
Quella di Vittorio (Borghi) e Cesare (Marinelli), quindi, è una storia per sua natura maledetta, negativa, senza via d’uscita? Gli autori decidono di fare un passo in più, inserendo in questo contesto così cupo e viziato la miccia della speranza e un tentativo di cambiamento rappresentato dall’amore.
Il pregio e nello stesso tempo il difetto della pellicola è la sua grande teatralità, una teatralità non tanto scenica – l’ambientazione, infatti, è alquanto spartana – quanto strutturale. Sono teatrali i tempi della storia, è teatrale la costruzione dei personaggi. Gli stessi dialoghi, sebbene scarni, pieni di parolacce e condotti per larga parte in dialetto romanesco, danno un rilievo poetico e drammatico alla storia.
Se si dovesse trovare un limite a “Non essere cattivo” sarebbe tutto nell’intreccio narrativo, che tende alla fine a girare a vuoto, ripetendo schemi e situazioni già chiari ed evidenti per lo spettatore. A un certo punto si ha come la sensazione che gli autori abbiano perso il filo del discorso, e che con esso siano andati perduti anche pathos e ritmo narrativo.
La regia di Caligari è cupa, cruda, intimistica, in alcuni casi addirittura eccessiva nella sua ricerca del vero, di taglio televisivo, ma comunque di buon livello.
Non conoscevo Luca Marinelli e Alessandro Borghi e devo dire che si sono rivelati una piacevole sorpresa per la capacità di portare in scena i personaggi con bravura e naturalezza, riuscendo a risultare credibili e intensi senza mai apparire sopra le righe o fuori contesto, regalando al pubblico emozioni variegate e permettendo di entrare in empatia con loro.
È invece una conferma artistica quella di Silvia D’Amico, già vista la scorsa primavera in “Fin qui tutto bene”, capace di costruire un personaggio delicato, semplice e nello stesso tempo forte e combattivo. Una recitazione curata, la sua, e intensa, che evidenzia la formazione teatrale. Menzione anche per Roberta Mattei nel ruolo di Linda, altro ruolo femminile forte, anche se in apparenza di spalla, capace di prendersi con merito i suoi spazi.
Il finale, seppure agrodolce e forse troppo lungo, nel complesso piace ed emoziona, spingendo lo spettatore a sperare che, per le generazioni a venire, anche il futuro nelle periferie possa essere meno plumbeo.
Il biglietto da acquistare per “Non essere cattivo” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.