In questi primi mesi del 2023 sono rimasta colpevolmente indietro con le recensioni dei libri letti – e in realtà in buona parte anche con la lettura stessa! Non posso dire si tratti di un vero “blocco del lettore”, quanto piuttosto di una carenza di voglia, e soprattutto di tempo. Cercherò di rimettermi in carreggiata e recuperare i molti pezzi arretrati, a cominciare da questo, dedicato a “Neroinchiostro” di Sara Vallefuoco, edito da Mondadori.
È l’estate del 1899, e l’Italia è più unita sulle mappe che nel cuore dei suoi abitanti. Il vicebrigadiere Ghibaudo viene trasferito nell’entroterra sardo con un gruppo di carabinieri provenienti da tutto il Regno per fondare un avamposto nella lotta al brigantaggio. Il mondo che lo attende è profondamente diverso dalla Torino in cui è cresciuto: i crimini sono tanti, ma poche le denunce, a dimostrazione che lì i torti vengono raddrizzati non dalla legge ma dai coltelli.
È dunque una sorpresa quando la popolana Lianora si rivolge ai carabinieri per un caso di furto. Nelle stalle della donna, però, il vicebrigadiere scopre qualcosa che cambia totalmente il volto dell’indagine: il cadavere di un collega dell’Arma. I sospetti ricadono su Anania, bracciante di Lianora, ma alcuni indizi spingono Ghibaudo a sospettare che la verità sia più complicata – e scura – di così. E mentre il carabiniere cerca di fare i conti con i sentimenti inconfessabili che si accorge di provare, un assassino prende di mira i poeti al volo, rimatori di strada che girano di paese in paese denunciando i torti subiti dalla loro gente.
Come sicuramente saprete dai pezzi che ho scritto in questi anni, sono una grande appassionata di gialli e di “gialli storici” in particolare. Trovo il genere, declinato nella sua componente meno pesante e noir, molto rilassante, se mi concedete il termine. Avevo quindi buone aspettative riguardo a “Neroinchiostro” – di cui, tra parentesi, a marzo è anche uscito il seguito, “Chimere”.
Non posso dire che il romanzo sia stato una delusione, ma diciamo che non ha lasciato in me chissà quale grande impressione. L’ambientazione, storica e geografica, è interessante; i personaggi hanno un buon potenziale, a cominciare dal protagonista, Ghibaudo, che veste la divisa ma nasconde anche dei segreti, che però secondo me non è stato sfruttato a dovere.
Prendiamo l’infermiera Amelia, ad esempio: approfondire il suo carattere, le sue motivazioni sarebbe stato sicuramente interessante. L’autrice ha preferito invece abbozzare parecchio, relegandola al ruolo di comprimaria di relativa importanza. La situazione si evolverà in “Chimere”, trama alla mano. Ma per adesso, Amelia è completamente accessoria.
Gli spunti interessanti non mancano: il brigantaggio, la situazione italiana di fine XIX secolo e inizio XX, la vita in una piccola comunità isolana e isolata, la questione femminile. Nessuno, però, viene davvero approfondito o lascia nel lettore questo grande segno. Alla fine la sensazione è quella di un romanzo buono ma non indimenticabile.