“Mio fratello, mia sorella”: una storia di famiglia, di conflitti e accettazione

Alessandro Prezioso e Claudia Pandolfi intensi e complementari nel film disponibile su Netflix

Un film di Roberto Capucci. Con Caterina Murino, Alessandro Preziosi, Claudia Pandolfi, Ludovica Martino, Stella Egitto. Dramma. Italia 2021

Nìkola e Tesla sono fratello e sorella ma non si vedono da vent’anni. Alla morte del padre Giulio, docente di fisica astronomica, si ritrovano prima in chiesa per il funerale, poi dal notaio per aprire il testamento. Sorpresa: il padre ha lasciato la casa di famiglia a entrambi, nonostante vi abiti solo Tesla insieme ai figli Carolina e Sebastiano, un adolescente schizofrenico. Nel testamento Giulio ha offerto loro due alternative: vendere la casa e dividersi il ricavato, o viverci insieme per un anno e decidere poi che cosa farne. Tesla non può vendere subito e accetta obtorto collo che Nìkola si trasferisca con lei, anche perché Carolina ha colto la palla al balzo per andare a vivere fuori casa. La convivenza non sarà delle più facili, ma porterà alla rivelazione di parecchi segreti di famiglia, e forse ad una crescita collettiva.

 

Scritto a quattro mani da Paola Mammini e Roberto Capucci, che ne è anche il regista, “Mio fratello, mia sorella”, disponibile dall’8 ottobre su Netflix, è la storia di una famiglia, dei rapporti che si creano o si (ri)creano tra fratelli, genitori e figli.

Nikola (Preziosi) e Tesla (Pandolfi) – nomi non casuali, che suggeriscono un’anima divisa in due – sono fratello e sorella ma non si vedono da 20 anni. La morte del padre Giulio, che li costringe a vivere per un anno sotto lo stesso tetto insieme ai figli di lei, Carolina e Sebastiano, li porterà a darsi una possibilità, sia di ritrovarsi che di perdonarsi l’uno con l’altro.

Buona la prima parte del film che ci presenta questa famiglia alle prese non solo con problemi relazionali “classici” ma anche e soprattutto con la malattia mentale, rappresentata dalla schizofrenia di cui soffre Sebastiano (un bravissimo Francesco Cavallo, al suo esordio nel lungometraggio). 

Capucci ci offre uno sguardo realistico e molto intimo sulla situazione, raccontandoci come la malattia influenzi la vita dei componenti della famiglia e in generale cosa voglia dire ritrovarsi a convivere dopo tanto tempo lontani. 

In questo senso, molto importante è il lavoro degli attori. I dialoghi tra Claudia Pandolfi e Alessandro Preziosi, complementari sulla scena, riescono a trasmettere tutta la sofferenza e le difficoltà che Tesla e Nik hanno dovuto e continuano ad affrontare. Dell’ottima prova di Cavallo ho già detto.

La sceneggiatura, purtroppo, si perde un po’ andando avanti col minutaggio, diventando sempre più macchinosa e poco naturale – e alcune scelte, soprattutto nel finale, sono oggettivamente incomprensibili. 

In linea generale, col suo parlare di rapporti, disabilità, conflitti ma anche dell’assunzione di responsabilità, il film riesce nell’intento di coinvolgere lo spettatore emotivamente, portandolo a empatizzare con la storia di questa famiglia che potrebbe essere, a ben vedere, la nostra.

È solo passando attraverso l’accettazione del dolore, sembrano volerci ricordare Tesla, Nik e gli altri personaggi, che è possibile arrivare al perdono. Prima verso noi stessi, poi verso chi ci sta vicino. Un messaggio sempre valido.