Un film di Pietro Marcello. Con Luca Marinelli, Jessica Cressy, Vincenzo Nemolato, Marco Leonardi, Denise Sardisco. Drammatico, 129′. Italia 2019
Martin Eden è un marinaio di Napoli con una grande fame di vita e un coraggio incontestabile. Per aver salvato Arturo Orsini da un violento pestaggio, Martin viene accolto con riconoscenza dalla famiglia del ragazzo e presentato alla sorella Elena. È amore a prima vista, e il desiderio di “essere degno” di Elena spinge Martin a istruirsi, facendo tutto da solo, leggendo voracemente e assorbendo, con la sua grande intelligenza naturale, ogni dettaglio di ogni disciplina affrontata. Emerge così il suo talento più profondo: quello per la scrittura. Ma la scrittura, almeno inizialmente, non paga, perché gli sforzi letterari di Martin vengono rifiutati dalle redazioni che respingono ogni suo saggio, racconto o poesia, troppo nuovi e diversi per i gusti standardizzati. E per Elena e la sua famiglia borghese la mancanza di una “posizione” è un problema, o meglio, una pecca imperdonabile.
Trasposizione in chiave nostrana del capolavoro di Jack London “Martin Eden”, con l’azione spostata da Oackland a Napoli e una stratificazione ulteriore di una vicenda che già nell’originale mostrava infiniti livelli di lettura, il film di Pietro Marcello è stato presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia.
Luca Marinelli risalta nei panni del tormentato protagonista, crescendo con lui e rappresentando alla perfezione il duplice cambiamento a cui il personaggio va incontro durante il film: il primo quando da pescatore diventa uomo istruito, il secondo quando raggiunge il successo perdendo però molto altro.
La fotografia del film ricorda i fratelli Taviani e la fine del Novecento: gialli tiepidi, immagini di repertorio, suoni nostalgici. Sembra quasi di sfogliare un album che ritrae la città di Napoli com’era una volta, con i ceti bassi desiderosi di affrancarsi e di emanciparsi ma comunque lontani anni luce dalla borghesia.
Come Martin Eden ripete più volte, la cultura è lo strumento cardine per realizzare questo obiettivo. Perché come argomenta mangiando: se la povertà fosse sugo e la cultura pane, basterebbe una “scarpetta” e la prima sparirebbe.