La notte è infinitamente vuota, Annemarie Schwarzenbach

di Manuela Prato
redazione di letturacritica

 

La notte è infinitamente vuotaEssere giovani nella Parigi degli anni venti. Mescolarsi alla folla di razze e lingue diverse, bere vino, scatenarsi al Koubok, a due passi dall’università: è iniziato il Bal des Quat’z’Arts. Frequentare le lezioni, e chiedersi che cosa fare una volta terminati gli studi. Costruire ponti, dice qualcuno, misurare e ripartire la terra delle colonie, un altro. Poi c’è Gabrielle, che non vuole nulla, perché sarà il destino a volere per lei, e Ursula, che studia geografia e desidera un libro da leggere a voce alta, un libro in cui ogni frase sia armoniosa e bella. Ursula che a Parigi conosce un uomo, esce con lui, va alla Coupole dove ogni sera la ballerina Lena calamita sguardi e attenzioni, Ursula che cerca una libertà che sia solo sua, Ursula che ama Jacqueline, snella e abbronzata. Scritta da Annemarie Schwarzenbach nel 1929, quando, come la protagonista della novella, studiava alla Sorbona, “La notte è infinitamente vuota” procede per salti, bruschi cambi di tempo e prospettiva, impressioni in cui l’esperienza biografica è rielaborata e sublimata in una scrittura immaginifica, ora malinconica e ora estasiata dalle infinite possibilità del domani.


Annemarie Schwarzenbach è una scrittrice del primo Novecento. Fortemente androgina, apertamente omosessuale, grande viaggiatrice, dipendente da alcol e droghe (morfina in particolare), ribelle e contrastata, fu una delle controverse protagoniste della vita culturale bohémien mitteleuropea tra la prima e la seconda guerra mondiale.

Con forti simpatie naziste, entrò nel circolo di Erika, la sua compagna, e Klaus, i figli dello scrittore tedesco Thomas Mann, e fu proprio grazie al loro incoraggiamento che intraprese la professione di autrice.

“Tutte le nostre sofferenze le patiamo in segreto per qualcuno che ci amerà. Tutto ciò che facciamo lo facciamo in segreto per questo qualcuno.”

La notte è infinitamente vuota (Il Saggiatore, 2014) è un suo racconto, molto autobiografico, degli anni vissuti a Parigi, quando era studentessa alla Sorbona. La protagonista, Ursula, descrive in prima persona il suo amore per Jacqueline. Racconta le passeggiate notturne sui boulevard, le sere al Coupole. Raccoglie i suoi pensieri e scrive soprattutto della notte, del fascino delle ore notturne dove sembra che i sogni prendano corpo, desideri che svaniscono alla nuova luce del giorno.

“Passo metà delle mie notti a leggere… I lampioni illuminano la mia stanza come il chiaro di luna. No, non mi rendono sonnambula, ma combinati con i diversi rumori della strada mi tengono sveglia per qualche ora fino a che le cose lette e i pensieri non si mescolano per formare un sogno più o meno bello.”

Una donna piena di talento, ma fragile e tormentata, che morirà a soli trentaquattro anni per i postumi di un incidente.

Un racconto emozionante fatto di memorie e personaggi. Nelle pagine si riscontra un bisogno e una specie di terapia, una via per porre fine alle angosce e per dominare le frequenti crisi, le enormi tristezze che pesavano sulla sua vita come macigni.