Anche dopo i novant’anni può esserci una prima volta e ci si può sentire emozionati come dei giovincelli – sì, anche se il novantaduenne in questione è Andrea Camilleri. Arriva in tv lunedì 26 febbraio “La mossa del cavallo”, adattamento di uno dei romanzi storici dell’autore siciliano, edito da Sellerio.
Il pubblico televisivo ha conosciuto e amato Camilleri come il creatore del commissario Montalbano, ignorando, forse, che la sua produzione è molto più vasta. Oggi Carlo Degli Esposti e la Rai hanno deciso di colmare in parte il vuoto, portando sul piccolo schermo anche altro.
E prima di lasciare la parola a Camilleri, è Eleonora ‘Tinni’ Andrearra, direttore di Rai Fiction ad anticipare la domanda, e spiegare perché ci sono voluti così tanti anni per vedere in tv questo western siciliano. “Per ogni progetto è necessario attendere il momento giusto. Il lavoro produttivo che questo richiedeva, solo adesso, dopo vent’anni di Montalbano, siamo stati sicuri di poterlo sostenere. E ci auguriamo che il pubblico lo trovi interessante e apprezzabile”.
Nonostante i tanti anni di attività come sceneggiatore e co-sceneggiatore, come si sente alla vigilia della messa in onda del film?
Questa trasposizione mi preoccupa, perché Montalbano, che qualcuno, bontà sua, definisce rassicurante, ha ormai raggiunto livelli di consenso altissimi, e questa è tutta un’altra storia, una storia dura.
Perché un ruolo tanto importante, nel romanzo “La mossa del cavallo”, ricopre il dialetto?
Parlare e capire la lingua vuol dire capire le radici comuni. Ho chiesto a un giudice che lavorava con Falcone e Borsellino quale lingua usasse il primo per interrogare i mafiosi. Mi ha risposto: il dialetto siciliano. Un giorno si trovò davanti un tale Giuseppe detto o piddaro, il pellaio. Cominciò l’interrogatorio parlandogli in dialetto stretto e quello lo interruppe: ‘No, signor giudice, qui si parla italiano’. Aveva scoperto il suo gioco.
La vicenda si svolge, tra Montelusa e Vigàta, nell’autunno del 1877, ai tempi della Sinistra storica al governo, e dei malumori contro il mantenimento dell’odiosa tassa sul macinato. Perché questa ambientazione e periodo storico?
Ho ambientato la storia nel 1877 perché volevo evidenziare gli errori commessi dai politici dell’epoca dopo l’unificazione, con la Sicilia e i siciliani. I libri di storia parlano solo di brigantaggio in Sicilia, ma la realtà è molto più complessa.
Oggi il nome di Camilleri e del suo commissario sono diventati famosi in tutto il mondo, uno degli esempi di eccellenza italiana. Come si sente ad essere un “prodotto da esportazione” al pari di Parmigiano e prosciutto di Parma?
Sono fiero di essere diventato l’ambasciatore della Sicilia nel mondo, di un’altra Sicilia però. Con Montalbano anche gli stranieri hanno scoperto paesaggi diversi rispetto a quelli che sono abituati a vedere dell’Italia, paesaggi a loro sconosciuti e bellissimi. Il commissario è stato esportato in ben 63 Paesi. In Cina no – credo che il personaggio di un funzionario disubbidiente lì non vada bene.
Scrittore siciliano che racconta la sua terra, senza però soffermarsi mai sulla Mafia. Una contraddizione o una scelta?
Mi sono sempre rifiutato di scrivere di mafia. Quando mi sono stati forniti i pizzini di Provenzano ho scritto un libro ma i diritti sono andati alla Fondazione Andrea Camilleri e a funzionari di polizia che distribuisce borse di studio ed è al fianco dei poliziotti caduti. Non volevo guadagnare una lira sulla mafia.
Nel corso della sua vita ne ha viste tante. Cosa ne pensa dell’attuale campagna elettorale?
Non è né campagna né città. Non si può chiamare campagna elettorale una cosa in cui ci si insulta. La politica ha perduto la P maiuscola. Il divario tra Nord e Sud è spaventoso. Basta prendere un treno e si capisce. A Palermo se chiedi: “C’è il treno per Catania?” Ti rispondono: “Forse”.
È stato possibile rendere con eleganza ma senza rinunciare all’efficacia le scene che coinvolgono il parrino Artemio Carnazza (Pandolfo) e la vedova disinibita Trisina Cicero (Pantano)?
Ma è una critica questa? Secondo lei, non esistono uomini di Chiesa tentati dalla carne? Ci sono numerosi casi al riguardo. Ricordo un parrino che era solito dormire ogni notte nello stesso letto con la propria perpetua. E a chiunque gli facesse notare questa anomalia, il prete rispondeva “Io metto la croce tra me e la perpetua.
Cosa ne pensa dell’appellativo Maestro? Crede che le si addica?
Non chiamatemi Maestro, per favore. Sciascia acconsentiva perché era stato un tempo anche maestro delle elementari. Io no. Chiamatemi Camilleri, o se volete Andrea. Ma Maestro decisamente no.