Nel nuovo romanzo storico di Jeanne Kalogridis, “La lettrice di tarocchi“, edito da Longanesi, le vicende di Caterina Sforza sono raccontate dal punto di vista della sua dama di compagnia, Dea.
Si va dall’infanzia passata a Milano, alla corte del duca Galeazzo e della moglie Bona, al viaggio verso Roma per sposare Girolamo Riario, vicino a Papa Sisto IV. Spazio viene dato alle passioni sfrenate di Caterina, ai rapporti con i grandi personaggi dell’epoca (Rodrigo Borgia su tutti), alla lotta per conservare le proprie terre. Fino allo scontro conclusivo contro il nemico di sempre, Cesare Borgia.
La storia ha ottime potenzialità. Pagina dopo pagina si percepisce la ricerca che sta alla base di ogni buon romanzo storico, si capisce che l’autrice ha studiato a fondo i documenti dell’epoca, prima di cimentarsi con la sua narrazione. La ricostruzione delle ambientazioni, delle città e delle corti, dei costumi e delle abitudini di vita dei personaggi è dettagliata, attenta, impeccabile.
La società prende quasi vita, con le sue luci e le sue ombre, le consuetudini millenarie che oggi ci appaiono lontanissime, la difficoltà di essere una donna in un mondo di uomini. A questa attenzione per i particolari corrisponde una scrittura fluida e scorrevole, piacevole da leggere.
Eppure, nonostante questi buoni elementi costitutivi, il libro non è coinvolgente e convincente come potrebbe essere. La narrazione viene affidata a un personaggio diverso dalla protagonista Caterina – una scelta particolare, coraggiosa, che avrebbe potuto segnare il successo del romanzo e, invece, a mio avviso, finisce per affossarlo.
Perché la dama di compagnia Dea, che racconta le avventure della sua padrona, fa da vero e proprio schermo tra lettori e storia, e chi legge finisce per non immedesimarsi del tutto né nella dama di compagnia né nella padrona.
Inizialmente la donna è un po’ troppo puritana, e non piace, ma anche nel proseguo della storia – quando cresce e impara a conoscere meglio le cose del mondo – resta distaccata e fredda. Dea non riesce proprio a farsi amare dal lettore, nonostante le sue vicende personali.
Il problema è che anche la forte Caterina viene penalizzata da questa scelta di narratore. In lei – passionale, intraprendente, intrepida – ci si sarebbe idealmente potuti immedesimare, ma venendo raccontata attraverso gli occhi di un’altra persona… le sue caratteristiche si perdono sullo sfondo!
Il suo carattere, i suoi sentimenti ci arrivano ovattati, opacizzati. Si capisce cosa prova, cosa vuole, eppure non si riesce a parteggiare per lei completamente. Perché non la si considera mai una conoscente, un’amica, ma sempre un personaggio fittizio e letterario. Il fatto che i passaggi che mi hanno emozionata di più siano quelli in cui si allude al forte legame tra Cesare Borgia e la sorella Lucrezia dà alquanto da pensare.
Questa è una storia che si fa leggere, ma che non riesce a farsi sentire più di tanto in profondità.