Un film di Robert Greene. Con Kate Lyn Sheil. Docu-fiction, 109’. USA, 2016.
Kate Lyn Sheil è una giovane attrice di New York all’apice del successo. Christine Chubbuck era una giornalista ventinovenne, tristemente nota per essersi suicidata in diretta televisiva nel luglio del 1974. Nel film Kate interpreta Christine, ricostruendo i motivi alle origini del gesto plateale che ha condotto alla morte la giovane reporter. Recandosi a Sarasota, in Florida, Kate analizza gli articoli sull’incidente, parla con uno storico locale e visita il negozio dove Christine comprò la pistola che la uccise. Parlando alle persone che incontra, Sheil parla a se stessa delle difficoltà incontrate nell’interpretare qualcuno che non c’è più. Gradualmente i problemi di Christine divengono i problemi di Kate.
Due giorni fa, su richiesta del caporedattore, avevo assistito alla proiezione del film “Christine” di Antiono Campos con protagonista Rebecca Hall, brava e intensa nell’interpretare la storia vera della giornalista americana Christine Chubbuck che nel luglio del 1974 decise di suicidarsi in diretta tv.
Fu un evento che scioccò il mondo dei media e il pubblico, e tutti si chiesero perché mai una donna giovane e bella abbia pensato di compiere un gesto tanto estremo.
Il film di Campos (qui trovate la mia recensione) mi ha convinto poco sul piano drammaturgico perché a mio avviso non riesce a centrare il cuore della questione, limitandosi a un mero racconto dei fatti.
Per questo ero ancora più curioso di vedere “Kate plays Christine”, che offre un ulteriore contributo alla vicenda, partendo però da una prospettiva completamente differente.
Robert Greene ha costruito una docufiction con protagonista Kate Lyn Sheil, che per interpretare il ruolo della giornalista Christine – ruolo fondamentale per la sua carriera – decide di condurre indagini personali indagini sulla vita della donna, trasferendosi per un periodo nella cittadina di Sarasota in Florida.
Kate è capace di trascinare lo spettatore dentro lo schermo, tanto che chi guarda diventa un suo compagno di ricerche e di studi, non un mero osservatore. Il susseguirsi di incontri e interviste fanno comprendere meglio la solitudine della giornalista, il suo non avere molti amici, la sua personalità solitaria.
Le due donne si somigliano molto per personalità, paure e desiderio di emergere, e questo loro essere per certi versi accostabili rende più coinvolgente la “trasformazione” di Kate in Christine.
Greene, con questa docufiction, copre le lacune narrative ed esistenziali del film di Campos, lasciando però l’amaro in bocca a chi è chiamato a rivedere, anche se solo per finzione, un gesto estremo che ancora di più dopo aver scoperto Christine vorremmo poter impedire.
Il biglietto da acquistare per “Kate plays Christine” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio (con riserva). Ridotto. Sempre.