Adriana Pitacco è un’insegnante, amante dell’arte e della letteratura.
“Maledetta-mente” è il terzo dei suoi cinque romanzi, edito da Lettere Animate dopo essere rimasto a lungo chiuso nel cassetto.
Conosciamo meglio l’autrice, il suo libro, il percorso che l’ha portata alla pubblicazione in questa intervista per Parole a Colori.
Buongiorno Adriana. Iniziamo parlando un po’ di te. Come ti descriveresti, usando solo poche parole?
Spesso ricordo con nostalgia le parole che mi disse Sergio, il protagonista del mio libro: “Sei una ribelle solitaria”. Penso che sia la definizione esatta del mio carattere e della mia vita.
Com’è nata in te la passione per la scrittura?
Scrivevo fin da piccola, ascoltando la voce splendida di mio padre, cantante lirico. Ero sicura che attraverso il linguaggio della scrittura avrei raggiunto quel mondo misterioso e affascinante che il suo canto mi comunicava. Durante l’adolescenza, mentre componevo racconti e poesie, mi sentivo libera, tutto il contrario di ciò che vivevo a scuola, dove la scrittura veniva insegnata in modo rigido e dogmatico. Ribelle a ogni forma di costrizione mi scontravo contro quei falsi propositi educativi imposti da una superficiale morale sociale. Per un periodo ho messo da parte la scrittura perché la vita mi aveva donato due splendidi figli e un matrimonio sereno. Ma un giorno è successo qualcosa che mi ha stravolto completamente: mi sono sentita stritolata da un’insofferenza che non avevo mai provato e niente riusciva a farmi distogliere lo sguardo da quell’oblio che mi sentivo addosso, che mi sovrastava come una bestia invisibile. Vivevo e nello stesso momento percepivo che dentro di me stavo morendo. Mi chiedevo se mi stavo avvicinando al confine indefinibile della follia. Ed è proprio lì, in quel confine, che ho trovato Sergio, lo psichiatra del libro. Perché a volte vi sono casi del destino che ti sconvolgono la vita. Ma forse non era proprio un caso che ritornassi a scrivere e a far nascere il mio primo libro grazie a quell’energica voce che mi disse: “Riprendi a scrivere Adriana, non dimenticare di esistere!”.
Hai sempre saputo di voler far questo nella vita? Adriana da bambina cosa sarebbe voluta diventare?
Non mi sono mai detta “Diventerò una scrittrice”, desideravo solo vivere i miei momenti di intimità e di libertà scrivendo anche su fogli che mi capitavano a caso. Da piccola avevo un grande sogno: quello di diventare attrice di teatro. Un sogno che in piccola parte ho cercato di realizzare frequentando, durante l’adolescenza, alcune scuole.
Parliamo del tuo romanzo, ”Maledetta-mente”. Una storia delicata che affronta tematiche delicate come le malattie psichiatriche e le tecniche per curarle. Una storia non per tutti, sei d’accordo? A che genere di lettori ti sentiresti di consigliarla?
Prima di scrivere questo libro ho scoperto, attraverso un’esperienza alquanto dolorosa, come un certo tipo di psichiatria possa perpetuare maledetti abusi sia nei confronti dell’adulto, sia nei confronti del mondo dell’infanzia. Sentivo il bisogno, quasi ancestrale, di denunciare quanto avevo visto scrivendo un libro, ma non volevo che diventasse un mero elenco di abusi o una sorta di inchiesta giornalistica. Da questa volontà è nata l’idea di trasformare la denuncia in una storia d’amore, dove la voce narrante fosse quella di una donna giunta alla fine della sua esistenza, una donna che racconta la vita dell’unico uomo che ha amato, la vita di un medico psichiatra che si è scontrato contro una rigida e degenerata impostazione della psichiatria, abolendo le terapie violente di contenimento e attribuendo all’arte un ruolo fondamentale per comunicare con i pazienti. Ho svolto ricerche su Basaglia, sul dottor Muller, non vorrei che i lettori dimenticassero che i racconti sono liberamente tratti da storie vere – ad esempio Sergio, il protagonista, esiste realmente. Certo non è un libro da leggere come un passatempo, in breve; non è un libro per tutti. Mi rivolgo a quei lettori che hanno a cuore le tematiche sociali, ma spero che il numero di persone che riflette e prende coscienza di alcuni abusi che troppo spesso passano in silenzio possa crescere.
Nella presentazione leggiamo che si tratta di un romanzo psicologico. Vuoi spiegarci meglio questa definizione?
Maledetta-mente è un romanzo psicologico per la forte connotazione emotiva che emerge nel mosaico di racconti; prevale il mondo interiore dei personaggi, le loro emozioni, le loro riflessioni e la loro crisi esistenziale. Anche la tecnica usata è tipica del romanzo psicologico: la narrazione non si svolge in modo regolare, ma attraverso il montaggio parallelo e il flash back. L’intento narrativo è quello di condurre il lettore, attraverso il vissuto dei personaggi, nel mondo disincantato della follia.
Quanto di tuo c’è in questo libro?
Una vita. Ho vissuto con i personaggi un rapporto intimo e profondo perché rispecchiano alcuni pregnanti e delicati momenti della mia vita.
C’è un messaggio particolare che hai voluto trasmettere al pubblico, attraverso la narrazione?
L’affermazione della diversità come valore inestimabile, un profondo amore per la libertà e un forte rifiuto per ogni abuso e costrizione. Vi sono abusi di cui poche persone sono a conoscenza – quanti sanno dell’alta percentuale di suicidi dopo la somministrazione di psicofarmaci su adolescenti considerati diversi dalla “norma scolastica”?
Dalla tua presentazione leggiamo che due figure per te molto importanti sono Vincent Van Gogh e Virginia Woolf. Li consideri una sorta di guida artistica o ti affascinano anche dal punto di vista personale?
Li ritengo una guida per la loro ricerca artistica continua, per aver sconvolto i canoni tradizionali dell’arte e della letteratura. Ho voluto approfondire la conoscenza del loro mondo interiore leggendo i loro scritti, le loro bellissime lettere, ed è lì che ho colto la loro straordinaria forza nel lottare per affermare la propria diversità, la loro ineguagliabile ricchezza interiore.
Il libro è edito da Lettere Animate. Com’è stato lavorare con loro?
Ho sempre lavorato in un clima sereno e di fiducia; ogni decisione è stata presa di comune accordo. Ringrazio sinceramente Lettere Animate per avermi accolta tra i suoi scrittori.
Hai sperimentato il self, oltre all’edizione classica con casa editrice? E cosa ne pensi di fare tutto da sé? Può funzionare, oppure avere qualcuno di qualificato che segue uno scrittore nel processo di scrittura, correzione e poi pubblicazione è ancora un valore aggiunto?
Prima di “Maledetta-mente” ho scritto quattro romanzi; durante i bellissimi giorni dedicati alla scrittura sentivo solo il bisogno di vivere con i miei personaggi e non ho mai voluto proporre nessun romanzo. Con “Maledetta-mente” è stato diverso, perché arrivata all’ultima pagina ho ricordato le parole di Sergio – “Forse un giorno qualcuno scriverà la mia storia, magari quando invecchierò” – e ho deciso di non lasciare questo libro nel cassetto. Prima di inviarlo ho fatto fare un lavoro di revisione da un giovane editor la cui storia mi ha affascinato: oltre ad avere iniziato l’attività di editor è infatti anche un brillante ed affermato pianista di musica classica. Tornando alla domanda, ritengo che anche la pubblicazione self possa funzionare, a patto che ci sia un lavoro di revisione del testo fatto da persone competenti. Il problema che rimane è la promozione del libro, compito che con il self viene svolto esclusivamente dall’autore.
Quanto è difficile essere un autore indipendente in Italia? La nuova frontiera dell’editoria online e i social network hanno reso più semplice arrivare e farsi conoscere, oppure per chi non ha un grande editore alle spalle la strada è ancora molto, molto dura?
Sono convinta che la strada per chi non ha un grande editore alle spalle sia particolarmente difficoltosa, ma considero l’essere stata scelta da una casa editrice una grande conquista.
C’è un consiglio che ti sentiresti di dare ai giovani che sognano di pubblicare un libro?
Di essere testardi, di non arrendersi mai, anche nelle circostanze più difficili. Sono loro che possiedono una forza straordinaria. Vorrei che cogliessero il senso di queste mie parole: “Sogniamo grandi sogni perché sappiamo di esistere”.
Nella vita sei insegnante. Vivere di sola scrittura è un’utopia, secondo te? Ci sono possibilità concrete di farlo, in questo momento storico, o è meglio avere una carriera alternativa e dedicarsi alle lettere nel tempo libero?
Vivere di sola scrittura lo considero un’utopia e non vedo possibilità concrete di farlo in Italia. Quello che mi dispiace è constatare come molti talenti oggi non vengano scoperti perché non rispondono a un criterio commerciale, ai gusti del mercato. È una situazione assurda che si ripete ciclicamente nel mondo dell’arte. Per quanto mi riguarda vivo il mio lavoro in modo profondo e non riesco a immaginare la mia vita senza il rapporto con i miei ragazzi.
In questo periodo stai già lavorando a qualcosa di nuovo? C’è una storia pronta a saltare nel cassetto?
Una storia c’è, liberamente tratta dalla vita del mio amato pittore Claude Monet.
Grazie ad Adriana Pitacco per essere stata con noi.