Intervista alla regista Laura Luchetti

Al BFI London Film Festival presenta il film "Fiore gemello" che affronta il tema dell'immigrazione

L’aria frizzante del festival ha già conquistato la città di Londra, dove da una parte il sole splende caldo e dall’altro un vento fortissimo strappa via i cappotti e scombina i capelli di tutti gli elegantissimi passanti di Green Park.

È l’ora di pranzo e il May Fair Hotel è pieno come sempre. Ma oggi, c’è qualcosa di diverso. L’hotel è preso d’assalto da uno sciame di giornalisti chiacchieroni che, con i loro taccuini, si preparano al primo pomeriggio di tè e interviste con i protagonisti del festival.

Non mi mescolo alla calca ma vado dritta alla mia meta perché oggi mi aspetta una rappresentante molto interessante dell’Italia al London Film Festival: Laura Luchetti, regista di “Fiore gemello”. Coloratissima e raffinata come il suo film, Laura sorseggia tranquilla la sua acqua e limone mentre aspetta che io prepari gli arnesi del mestiere. Taccuino, penna, registratore: un, due, tre, un bel respiro e si comincia.

 

Intanto, congratulazioni per il film, Laura. A giudicare dalle precedenti interviste che hai rilasciato e vedendo il riscontro positivo al Toronto Film Festival, possiamo dire che sta avendo un grande successo…

Speriamo, teniamo le dita incrociate!

“Fiore gemello” affronta due tematiche importanti: l’amore e l’immigrazione. Ecco, presentando un film come questo a Londra, un centro migratorio tanto importante, quale speri possano essere il messaggio e il sentimento da lasciare agli spettatori di questa città?

Non credo ancora di essere in grado o all’altezza di dare messaggi, però il sentimento è molto semplice. Non importa la distanza culturale, di lingua, di provenienza, religiosa: quando si è in una situazione di pericolo, un incontro impossibile, come quello tra i miei due protagonisti, diventa un incontro necessario in cui tutte le differenze iniziali si appianano. Penso che per capire cosa voglio dire il modo più semplice sia vedere il film, l’unione che si crea tra queste due persone, fino al finale in cui si incamminano verso il futuro.

Una scena del film “Fiore gemello”.

Nel tuo film l’uso degli elementi naturali è veramente bellissimo. Per esempio, l’acqua è l’origine del dramma nelle vite di Anna e Basim, ma alla fine si trasforma in un elemento purificante…

Grazie per aver notato questo dettaglio molto sottile.

È un dettaglio molto emozionante nel film! Pensando proprio a questo tuo uso degli elementi naturali, come descriveresti il tuo rapporto di regista con la natura?

Io dico sempre che sono una regista naturalista, io dovrei stare nella campagna a girare film, non tra i palazzi!

Parlando invece del ruolo del territorio e dell’ambiente, due elementi che abbracciano e inseguono i personaggi, che importanza hanno per la tua storia? E perché la scelta di girare il film in Italia?

Il territorio rappresenta il luogo delle nostre radici, è la terra su cui ci appoggiamo e che ci sostiene ed è anche una grande parafrasi della vita: ogni piccolo dettaglio, finanche agli insetti del sottobosco, sono importanti, hanno una loro voce e fanno la differenza esattamente come Anna e Basim. La natura è forse il nostro ambiente più primitivo, che ci abbraccia e ci minaccia. La natura è anche uno spazio intatto, dove non c’è ricco, povero, bianco o nero. È la nostra base. Poi, in questo caso, è il territorio italiano perché io sono italiana e ho scelto di girare il film in Italia, però in un bosco, dove siamo tutti uguali. È lì che sta la nostra forza, secondo me.

Una scena del film “Fiore gemello”.

Rimanendo su questo tema, quando si parla di territorio oggi si pensa a una barriera che esclude l’altro, lo straniero. Pensando soprattutto a un pubblico italiano che guarda questo film oggi, come pensi che il tuo modo di trattare questo tema possa dialogare con questo spettatore? E in che modo il film può farci ragionare sull’idea di un territorio che diventa un po’ per tutti?

A questa domanda io non ti posso rispondere perché è molto complicato pensare come un pubblico specifico possa reagire al tuo film, considerando anche che il problema non è solo italiano. Quello che io posso sperare è che questa storia che abbiamo sviluppato in questa maniera venga vista come una storia che non accade solo in Italia, ma anche a Gibilterra, a Cipro, o che è già accaduta a Cuba. Nella particolarità di un racconto veramente italiano, radicato nelle saline e nei boschi italiani, spero che si possa trovare un’universalità di sentimento. Gli italiani sono un popolo molto generoso, sono molto orgogliosa che siamo un paese che ha accolto a braccia aperte più immigranti di chiunque altro. Le cose possono migliorare o peggiorare, ma l’individuo deve riuscire a vedere al di là del gruppo sociale legato a una specifica visione politica. Se l’individuo trova un altro individuo che ha bisogno, è li che dà il meglio e gli italiani hanno sempre dato il meglio!

È una reazione molto umana quella di dare una mano di fronte a un uomo che ha bisogno…

Il gruppo è sempre un problema, la massa è sempre un problema, ma è quando siamo uno di fronte all’altro che diamo il meglio.

Cambiando completamente direzione, “Fiore gemello” è il secondo lavoro in cui parli d’amore, dopo il corto “Sugarlove”, presentato alla Biennale di Venezia. Ecco, pensi ci sia un elemento ricorrente che lega il tuo modo di raccontare l’amore nei tuoi lavori oppure si tratta di esplorazioni di questo sentimento diverse una dall’altra?

Allora questo io non lo so perché non ho ancora fatto così tanti film da poter parlare dell’amore come di un tema ricorrente. Magari si scoprirà fra cinque o sei film se riesco a farli! Quello che però noto io, dopo aver scritto le mie storie, è che, alla fine, mi ritrovo sempre a raccontare in molte delle mie storie l’innocenza, anche quando racconto una storia d’amore. In “Sugarlove” è l’innocenza totale di due statuine di zucchero appena messe sulla torta, che poi intraprenderanno un viaggio lunghissimo che avrà una direzione diversa da quella che loro speravano. Però, nonostante tutto, c’è l’innocenza di continuare a credere in una cosa meravigliosa, che è l’amore. Invece, “Fiore gemello” è il racconto di due ragazzi a cui, in modo diverso, è stata rubata l’innocenza dopo essere stati violentati dalla vita. Ma, attraverso il loro incontro, cominciano poi un cammino verso la riconquista di essa, che avviene anche attraverso un atto abbastanza violento ma che però li lascia, in un certo senso, mondati e capaci di riconquistare il loro futuro di adolescenti. Questo forse è il parallelo tra i due film e che forse caratterizza il mio modo di raccontare, la presenza di un sentimento la cui innocenza viene rotta e poi riconfermata. È forse una cosa che faccio istintivamente e che si trova poi sia in “Sugarlove”, questa storia di un amore infinito, e “Fiore gemello”, che è la storia di un amore impossibile.

Un fotogramma del cortometraggio “Sugar love” di Laura Luchetti

Però, alla fine, l’amore rappresentato in “Fiore gemello” non è così impossibile…

Certo, sia “Sugarlove” che “Fiore gemello” sono a loro modo ottimisti, perché per me, nonostante la difficoltà e i grandissimi problemi che i personaggi incontrano, c’è sempre una via. In “Sugarlove” si amano anche quando finiscono.

Bisogna però dire che il tuo è un ottimismo realistico, che forse appartiene un po’ alla natura umana…

È una speranza sempre nel problema, perché non è mai una speranza completamente distante dal contesto, però c’è.

Infatti, è forse questo che in “Fiore gemello” emoziona, soprattutto nel finale…

Io dico sempre questo, non sappiamo dove vanno Anna e Basim, ma si spera che vadano in un bel posto!

E, invece, tu, Laura, dove andrai? Quali sono i tuoi progetti futuri?

È ancora molto presto per dirlo con precisione ma sto buttando giù delle idee, una in particolare è una storia d’amore [ridiamo]. Sto pensando anche a un progetto d’animazione, che è la mia grande passione. Prima di “Sugarlove” avevo già lavorato a un progetto che si chiamava “Bagni”, la storia di una vecchina che lavorava in un bagno pubblico e ogni volta che le mettevano una monetina nel piatto sognava cosa avrebbe potuto farci. Poi la vita è un po’ più difficile del sogno. L’idea di “Sugarlove”, a cui ho lavorato con altri due ragazzi che si chiamano Munchausen, è nata in seguito del successo di quel progetto.

Con questa domanda concludo e ti ringrazio per essere stata qui con noi oggi.

Grazie a te. Sono tanto contenta che ti sia piaciuto il film e grazie mille per questa cosa dell’acqua che hai notato!

 

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Federica Gamberini
Bolognese di nascita, cittadina del mondo per scelta, rifugge la sedentarietà muovendosi tra l’Inghilterra (dove vive e studia da anni), la Cina, l’Italia e altre nazioni europee. Amante della lasagna bolognese, si oppone fermamente alla visione progressista che ne ha la signorina Lotti, che vorrebbe l’aggiunta della mozzarella. Appassionata di storie, nel tempo libero ama leggere, scrivere, guardare serie TV e film, e partecipare a quanti più eventi culturali possibile.

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