Intervista al regista Andrea Pallaoro

A Cinema made in Italy, a Londra, presenta il suo ultimo lavoro, "Hannah" con Charlotte Rampling

Tra i registi italiani emergenti, a livello internazionale e non, Andrea Pallaoro è forse uno dei più interessanti, decisamente da tenere d’occhio. Nato a Torino nel 1982, cresciuto artisticamente in America, allontana il suo spettatore dalla visione consolidata del cinema come esperienza narrativa passiva per portarlo in un viaggio dove la sua partecipazione è fondamentale.

Molto apprezzato dalla critica straniera, forse un po’ meno da quella italiana, il suo ultimo film “Hannah” rappresenta proprio questa visione cinematografica d’autore che rompe con la sovrabbondanza di fatti e dati per regalarci un racconto che sceglie di concentrarsi su un unico personaggio e i suoi stati d’animo.

Il cinema di Andrea Pallaoro può piacere o non piacere, ma non è questo il punto. I suoi film spingono a mettersi in discussione, richiedono uno sforzo. Attraverso l’incontro con un personaggio e con la sua vita siamo chiamati a riflettere su di noi e la nostra vita. Di questo e molto altro abbiamo parlato con il regista nella nostra intervista.

 

Ciao Andrea, innanzitutto grazie per essere qui con noi oggi. Ho visto il tuo film “Hannah” e non sono ancora riuscita a decidere se mi sia piaciuto o meno, però l’ho trovato sicuramente interessante.

Certo, direi che il fatto di piacere o non piacere è assolutamente secondario. Quello che è importante per me è l’esperienza che lo spettatore fa con il film, ed è spesso un’esperienza faticosa, che richiede di mettersi in discussione e un coinvolgimento molto profondo.

Sarà che io sono nata vecchia, ma quello che ho trovato interessante è che in molte delle emozioni ed espressioni di Hannah mi sono riuscita a riconoscere. Nonostante della sua storia si sappia poco, mi sono sentita molto vicina a lei, tanto da non aver quasi bisogno di conoscere i dettagli. 

Da queste due parole che ci siamo scambiati ho capito che hai fatto un percorso che era quello che volevo che lo spettatore facesse. Ne sono felice.

Anche io. Passiamo però a una domanda di rito: come ti senti a presentare “Hannah” qui a Londra, al festival Cinema made in Italy?

Io sono particolarmente felice e onorato di presentare il mio film a Londra perché è una città che amo tantissimo. Londra ha avuto un ruolo molto importante nella mia formazione e nella scoperta di me stesso, anche dal punto di vista artistico; mi ha aperto tantissime porte e mi ha fatto conoscere tanti artisti che sono diventati poi molto significativi per me. Anche questi due giorni sono stati uno stimolo continuo, è stato veramente un climax. Il fatto di poter condividere un film importantissimo per me in una città che amo così tanto con il pubblico londinese è importantissimo.

Parlando appunto di città e luoghi che ti hanno ispirato. La tua formazione come regista avviene prevalentemente negli Stati Uniti, dove c’è Hollywood, patria di un cinema estremamente narrativo. Per una persona come te, che porta avanti un’idea di cinema d’autore e che lavora soprattutto con e sul personaggio, come è stato sviluppare la sua visione in questo contesto?

Los Angeles è una città che mi sta dando tantissimo in questo momento della mia vita. È vero che a Los Angeles Hollywood ricopre un ruolo importantissimo, ma c’è però un’altra faccia di Los Angeles, molto più sperimentale, che ti dà la possibilità di riflettere su te stesso, di cercare di capire chi sei e di sviluppare un linguaggio cinematografico che sia il più pertinente possibile con quello che vuoi essere. Los Angeles è una città molto aperta alla sperimentazione, alla ricerca, e quindi potrei dire che il cinema di Hollywood ha reso e rende questa mia ricerca ancora più stimolante. Fa leva, in un certo senso, sul tipo di esperienza che voglio fare io.

Charlotte Rampling in una scena del film “Hannah”. (2017)

Parlando di “Hannah”, incuriosisce il fatto che sia un film che parla di un solo personaggio, che cerca di raccontare il mondo interiore di una donna intrappolata dalle sue scelte, paralizzata dalle sue insicurezze e dipendenze, dal suo senso di lealtà e devozione. Da cosa nasce questo tuo desiderio di esplorare il dramma della lealtà attraverso gli occhi di una donna, di una moglie, di una madre?

È una domanda molto interessante. Diciamo che tutti i miei personaggi nascono da fatti che accadono intorno a me, fatti che osservo o di cronaca, e Hannah è ispirata proprio a una storia realmente accaduta, una storia che ho scoperto ed esplorato nei giornali. C’è stata una domanda in particolare che ha dato il via a questo percorso e che lo ha portato avanti, un filo conduttore: cosa succede dopo cinquant’anni di vita condivisa con una persona se scopri su di lei qualcosa di atroce? Come influisce questo su di te e sulla tua percezione di ciò che sei? Sono domande che mi affascinano tantissimo ma che mi spaventano anche.

Questa tua riflessione viene poi sviluppata da una sorta di studio sul personaggio, non da una vera narrazione, tanto che il film finisce quando le porte della metro si chiudono e Hannah viene portata via. L’ho trovato un elemento interessante. Certo, per coglierlo appieno bisogna andare in sala consapevoli che quello che si vedrà non è un film classico, ma qualcos’altro…

Sì, è vero. Quando vai a vedere “Hannah” vai al cinema a vedere un ritratto di uno stato mentale e psicologico ed emotivo, non una storia. La storia è un contorno, non ci si focalizza mai sui dati, ma sullo stato mentale.

Infatti, parlando di “Hannah” con una collega, ci siamo confrontate sul fatto che lei aveva delle aspettative, io no e per questo ho trovato il film interessante perché per me è stato come vedere un ritratto al museo.

Bellissimo! È vero che noi andiamo verso l’arte con delle aspettative e queste aspettative ci impongono dei limiti, ma quando questi limiti non ce li hai sei più libero e puoi capire e penetrare l’opera d’arte in sé in modo molto più personale e intimo.

Rimanendo su questo tema, io mi sono anche messa nei panni del pubblico generico. Forse non sono molti quelli che oggi vanno al cinema senza avere aspettative. Mi chiedevo, quali sono state le reazioni di chi ha visto “Hannah” nei vari festival?

È una bellissima domanda questa, perché con “Hannah” ho girato il mondo, partecipando a vari festival, e questo mi ha dato la possibilità di avere un rapporto con il pubblico. Alla fine di una proiezione, dopo la sessione di Q&A, le persone che di solito mi cercano e vogliono parlare sono quelle che vogliono esprimere la loro esperienza. Sono coloro che sono stati toccati dal film, e avere un confronto per me è stato molto importante. Sono assolutamente consapevole, però, che questo sia un film molto difficile, che richiede un coinvolgimento intimo e molto attivo da parte dello spettatore. Lo spettatore che si aspetta di sedersi sulla sua poltrona e di ricevere o assorbire una storia non è lo spettatore che può apprezzare il film. Questo film non gli dà queste cose.

Dopo aver partecipato a diversi festival e aver incontrato pubblico e critica, pensi che il cuore del tuo film sia stato colto fino in fondo?

Dal punto di vista della critica, è stato molto affascinante vedere come il film abbia avuto risposte diverse in Paesi diversi. Sono stato veramente commosso da una serie di critici cinematografici negli Stati Uniti che hanno scritto in modo così eloquente e profondo sul film, in un modo che volevo lo spettatore attraversasse il film. E questo è stato bellissimo. Poi ci sono state delle critiche in Italia che sono state completamente l’opposto, con esperienze di pubblico non positive. Quindi, c’è stato un mix. Diciamo che era proprio quello che mi aspettavo.

“Hannah” fa parte di una trilogia – nel secondo capitolo, “Monica”, la protagonista sarà una donna transessuale. Perché la scelta di tre film e cosa dobbiamo aspettarci?

È una trilogia che si focalizza su personaggi femminili ed esplora il tema dell’alienazione, del desiderio e del bisogno di comunicare ma dell’incapacità di farlo fino in fondo. Mi piace l’idea della trilogia perché mi dà la possibilità di affrontare lo stesso tema da punti di vista diversi e quindi un domani vorrei che lo spettatore si ponesse davanti a queste opere nella loro totalità, nell’insieme delle tre. Credo che sarà così che verranno comprese ancora di più.

Grazie mille di essere stato qui con noi.

Grazie a te.