Teresa Righetti è una giovane autrice molto promettente, uscita dalla prestigiora scuola di scrittura Belleville di Milano. Nel capoluogo lombardo vive ancora oggi, e nel suo curriculum ci sono una laurea in lettere e una discreta esperienza come cameriera.
“Se mi guardo da fuori“, edito da DeA Planeta, è il suo romanzo d’esordio, la storia di Serena, una 25enne ancora alla ricerca del suo posto del mondo, che spesso in mezzo agli altri si sente sola.
Proprio del suo primo libro parleremo nella nostra intervista, ma anche della passione per la scrittura e delle sfide che un’esordiente deve affrontare nel nostro Paese.
Ciao Teresa, è un piacere averti con noi. Iniziamo parlando un po’ di te. Quando hai deciso di voler fare la scrittrice “da grande”? È sempre stato il tuo sogno?
È sempre stata l’unica cosa che riuscivo a fare bene, e senza nessuno sforzo. Per un periodo questa cosa mi ha generato una grande ansia: pensavo di aver vissuto così tanto nella convinzione di voler scrivere da non sapere più nemmeno se mi piacesse. E invece… Non ricordo un solo giorno della mia vita in cui non mi sia detta: “Voglio scrivere un libro”. Purtroppo sono troppo cinica e insicura da credere davvero che diventerò una scrittrice, ma questo è tutto un altro paio di maniche.
Per rincorrerlo hai investito su te stessa e sulla tua formazione, frequentando la scuola di scrittura Belville di Milano. In un mondo dove si punta sempre più spesso sull’improvvisazione e dove sembra che saper scrivere non sia una dote ma qualcosa di comune – se lo chiedi in giro ti senti rispondere: “Scrivere? Lo sanno fare tutti!” – quanto è stato importante per te questo periodo di studi? Cosa ti ha lasciato? E quanto pensi che conti, dall’alto della tua esperienza, una buona formazione specifica, per fare lo scrittore?
Alla Belleville ci hanno insegnato prima di tutto che per scrivere ci vogliono tempo e determinazione, e che con un esercizio molto rigido si può costruire un racconto coerente nello stile che si desidera. Quando ho iniziato il corso non avevo mai scritto niente che fosse più lungo di una pagina: a me è servito a credere in un’idea e a svilupparla tanto da creare un mondo che vivesse di vita propria, anche se l’avevo partorito io. Sinceramente non credo che si possa imparare a scrivere bene all’interno di un corso di scrittura – serve leggere tanto? Una spiccata sensibilità? Spirito d’osservazione? Non lo so – ma per me è stato utilissimo confrontarmi con altre persone: non solo perché ragionare insieme su una storia è molto stimolante, ma anche perchè s’impara a correggere certi modi di scrivere e di assemblare le idee. Da soli è difficile, spesso impossibile.
Il 4 settembre è uscito in libreria il tuo primo romanzo, “Se mi guardo da fuori”, una storia dal sapore fortemente contemporaneo che ha come protagonista Serena, una 25enne alla ricerca del suo posto nel mondo. Quando è nata questa storia? C’è qualcosa in particolare nella tua esperienza personale che ti ha ispirata?
All’inizio volevo scrivere dei racconti sui personaggi che frequentavano un certo bar. La storia di Serena è nata dalla consapevolezza che mi riusciva molto meglio parlare di sentimenti e impressione che conoscevo bene, perché li avevo provati. Quindi sicuramente mi ha ispirata la mia esperienza lavorativa – e la mia esperienza come donna inquieta in generale.
Il messaggio di fondo, estremamente attuale e vero, è che oggi, nonostante teoricamente siamo sempre connessi agli altri e al mondo tramite social, internet e chi più ne ha più ne metta, capita di sentirsi soli, persi, lontani da tutti. Pensi che per un giovane del 2018 sia più difficile, rispetto al passato, instaurare dei rapporti reali e sinceri? Questa quasi dipendenza dalla tecnologia ci ha resi tutti un po’ freddi?
Sì, credo che sia più difficile. Il mondo virtuale è un mondo che non esiste, ma tutti facciamo finta che esista; e soprattutto ci costruiamo, in quel mondo, un’identità che non corrisponde quasi mai alla realtà: siamo tutti più belli e più divertenti e più felici. In questo senso, forse, è vero che ci rende più freddi: siamo così impegnati a sembrare qualcosa che non siamo che non abbiamo la franchezza di dirci – oggi mi sento orribile, va bene così.
“Se mi guardo da fuori” è edito da DeAgostini nella collana Planeta. Com’è stata la tua esperienza editoriale? A chi dobbiamo il merito di averti scoperta e come ti sei trovata durante il percorso di editing, e poi di pubblicazione?
A Stefano Izzo, che mi ha ascoltata presentare il progetto di “Se mi guardo da fuori” durante il pitch finale del corso annuale alla Belleville. Era il mio insegnate di Editing e mi aveva sempre detto che la mia storia aveva qualcosa che non lo convinceva. Lo pensavo anch’io e ci sbagliavamo entrambi. Il mio percorso di editing con lui è stato molto bello: Stefano è una persona sensibile e intelligente, non mi ha mai tarpato le ali e ha sempre motivato le sue obiezioni con passione e rispetto. Il mio romanzo è quello che è anche grazie ai suoi consigli – che non hanno mai snaturato il mio modo di scrivere, ma mi hanno guidata a insistere su certi aspetti e certi concetti che all’inizio erano trattati più superficialmente.
Cosa ti aspetti da questa esperienza, e come la consideri? Il primo passo di una promettente carriera (facciamo il tifo per te)? Una sorta di battesimo del fuoco per prendere confidenza, anche, con il pubblico e con il mercato?
Purtroppo ho la tendenza a non aspettarmi mai niente: ho un carattere tremendo e vivo nel terrore di rimanere delusa. Non credo sinceramente che fare la scrittrice potrà diventare il mio lavoro a tempo pieno, ma non credo nemmeno che smetterò di scrivere. Se questo poi vorrà dire che avrò ancora a che fare con pubblico, editing, mercato e chipiùnehapiùnemetta va bene, altrimenti andrà bene comunque.
E stai già lavorando a qualcosa di nuovo? È vero, come si sente spesso dire, che uno scrittore non si ferma mai e che mentre mette il punto a un romanzo ne ha già in mente altri dieci?
Forse è vero per qualcuno – per gil scrittori veri, magari. Io al momento sono un po’ paralizzata e faccio fatica a scrivere anche dei messaggi WhatsApp.
Prima di lasciarci, che consigli ti sentiresti di dare ai giovani che vogliono vivere scrivendo libri? In Italia è una possibilità concreta oppure meglio tenersi aperte anche strade alternative?
Mi hanno insegnato che se non è impossibile è perlomeno difficile. La mia esperienza personale e recentissima conferma che non si può vivere della propria scrittura. Ma dipende sempre da cosa intendiamo per “vivere”. Consiglio a tutti di scrivere, non importa cosa: rende felici e cura l’inquietudine.
Grazie a Teresa Righetti per essere stata con noi.