Lockdown, contagio, vaccini, virologi: ascoltiamo queste parole ormai da settimane. Il Coronavirus si è rivelato il più spietato sceneggiatore della storia recente, distruggendo ogni certezza e scrivendo una storia impensabile, fino a pochi mesi fa.
Le borse mondiali sono crollate. L’economia traballa. Le città sono vuote. Tutti chiusi in casa, ci angosciamo con domande come: “Cosa succederà domani?”. E purtroppo le risposte da chi di dovere sono poche, e spesso contraddittorie.
Parole a Colori è una testata di cultura e spettacolo, e di libri, Festival e film vorremmo presto tornare a occuparci al 100% quanto prima. Ma oggi ci sentiamo in dovere di dare il nostro contributo, per quanto piccolo, all’informazione generalista, provando a rispondere a un quesito: è possibile difendersi dal contagio? E soprattutto, che ruolo hanno, in questo, le gettonatissime mascherine?
Abbiamo il piacere di parlare della questione con Filippo Moroni, imprenditore salito agli onori della cronaca qualche giorno fa, quando ha raccontato del muro di gomma contro cui si è scontrato proponendo alla Protezione Civile 50 milioni di mascherine provenienti dalla Cina e ricevendo un: “No grazie, siamo a posto” come risposta.
Chi firma questo pezzo conosce Filippo Moroni da oltre venticinque anni, lo considera un amico oltre che un uomo creativo e determinato. Quando ho scoperto che “l’imprenditore sconfitto dalla burocrazia” era lui, non potevo non chiedergli un’intervista.
Ciao Filippo, grazie per aver accettato il nostro invito.
Non voglio farti ripetere nuovamente tutto quello che è successo tra te e la Protezione Civile (potete ritrovare svariate ricostruzioni della vicenda online). Mi ha colpito molto, a questo proposito, un passaggio dell’intervista che hai rilasciato a “Piazza Pulita” dove hai sostenuto con grande fermezza la tua posizione. Proviamo però a fare chiarezza. Chi è l’imprenditore Filippo Moroni, quali sono i rapporti che lo legano alla Cina, e come è riuscito a consorziare diverse aziende locali?
Ciao Roberto, avrei volentieri evitato questa celebrità. Spero che l’aver raccontato la mia storia, comune però a tanti imprenditori, possa servire a cambiare le cose. Io vivo e lavoro in Cina da quattro anni. Ho fondato con altri soci delle attività che si occupano di tecnologia e prodotti sanitari a Shenzhen, Shanghai e Hong Kong. Conosco bene la realtà e soprattutto la mentalità cinese.
Quello delle mascherine è diventato il business del momento, un gioco al rialzo giocato sulle vite di milioni di persone. Hai provato a spiegare ai responsabili della Protezione Civile la necessità di muoversi per tempo, prima che i costi aumentassero in modo esponenziale e la disponibilità materiale di protezione crollasse? C’è il rischio concreto di incappare in frodi milionarie?
Sarebbe necessario poter contare su persone di assoluta fiducia sul campo, persone che conoscano il territorio e soprattutto possano verificare prontamente la merce, garantendone qualità e sicurezza. Se invece il Governo – o la Regione di turno – si affida a intermediari improvvisati o peggio a più passaggi, è inevitabile un aumento dei costi e il rischio d’incappare in tragiche truffe. I video che ho mostrato a Formigli (Piazza Pulita) sono stati girati dalla mia socia Yudiy Yao nella fabbrica in Cina. Dovevano essere la prova della mia, della nostra, affidabilità imprenditoriale. Purtroppo non sono serviti.
Ti eri offerto a suo tempo come fornitore diretto, conoscendo la realtà imprenditoriale cinese, ma il tergiversare organizzativo e burocratico di chi di dovere ha fatto sì che venissero sprecate due/tre preziose settimane. Se oggi si creassero le condizioni, sarebbe ancora possibile ottenere gli approvvigionamenti in tempi e soprattutto costi ragionevoli? O, considerato come il mercato è esploso, sarebbe più opportuno accelerare la conversione delle aziende italiane?
Roberto, come hai giustamente ricordato, il nostro Paese ha sprecato settimane vitali, nel vero senso della parola. Nella sfortuna, avevamo un vantaggio fondamentale da sfruttare. Ora il prezzo delle mascherine e dei guanti è salito alle stelle, ma malgrado tutto io e il mio team saremmo in grado di soddisfare le richieste del Governo, se solo ci dessero retta. Ma non ce ne stiamo con le mani in mano: stiamo già lavorando da giorni in questa direzione, con un’operazione di ampio respiro capace di rispondere alle richieste di New York, Londra e altri Paesi europei.
Si parla in questi giorni della cosiddetta “Fase 2”, ovvero di come l’Italia si muoverà dopo la fase di lockdown stretto. Pensi che ci siano già le condizioni per parlare di ripresa?
L’Italia, a mio avviso, non può permettersi alcuna Fase 2 finché non saranno disponibili miliardi di mascherine cosiddette chirurgiche nei supermercati, nei tabacchi e nei negozi. Le aziende italiane, nonostante gli sforzi di conversione in corso, nel medio periodo non potranno mai colmare il gap con le potenzialità produttive della Cina. Le mascherine dovrebbero essere acquistabili a “prezzo sociale”. Se indossate da tutti potremmo contenere il contagio e pensare a una lenta riapertura delle attività produttive.
Da italiano che vive in Cina, avevi qualche sentore di quello che sarebbe successo nel giro di solo pochi mesi? Ti saresti aspettato che dal focolaio di Wuhan il Coronavirus avrebbe messo in ginocchio il mondo intero in così breve tempo?
Sinceramente no, non mi aspettavo questa improvvisa accelerata. E anche sul piano imprenditoriale, prima di marzo non mi ero posto il problema se dedicarmi o meno alla questione delle mascherine, anche perché non era il mio settore.
E secondo te i numeri cinesi su contagiati e deceduti, cosa di cui si è discusso parecchio in queste settimane, sono affidabili? La Cina è davvero riuscita a contenere l’epidemia meglio di come abbiamo fatto noi in Europa?
Sul “metodo Wuhan” di contenimento e sui numeri si devono fare alcune considerazioni chiare. La Cina si è mossa in modo militare, risoluto, netto. Nessuno poteva uscire di casa; nessuna autocertificazione, runner o passeggiata. Non eri autorizzato neanche a portare fuori i cani, gli animali facevano i bisogni in casa. Potevi fare la spesa una volta alla settimana per un tempo massimo di mezz’ora. Nessuno entrava e/o usciva dalla città. Per farti capire, è come se il governo italiano avesse deciso di chiudere completamente il Grande raccordo anulare di Roma. Per quello che riguarda il conteggio dei morti, credo che la Cina, al di là della possibile censura, abbia tenuto conto della sottile quanto macabra distinzione di morte per o con Coronavirus. Il regime ha distinto i decessi avvenuti in presenza di altre patologie da quelli per solo Coronavirus. I nostri morti sono tantissimi, fa male leggere ogni giorno certi numeri, ma credo che alla fine di questa tragedia si dovranno ricalcolare con differenti parametri.
Sono passate due settimane da quando sei diventato famoso per “l’affair mascherine”. Ti ha contattato qualcuno, nel frattempo, dalla Protezione civile o dalle Regioni?
No, assolutamente. Nessuno mi ha più contatto o scritto.
Se potessi tornare indietro, gestiresti la cosa in maniera differente? Qualche strategia per superare la “diffidenza burocratica” con cui è stata accolta la tua proposta?
Forse, se avessi affrontato i colloqui con più distacco e meno drammaticità, sarei apparso più convincente e credibile. Arcuri e la Protezione Civile sono stati letteralmente bombardati da proposte e mediatori. Per paura di possibili truffatori senza scrupolo hanno preferito tagliare la testa al toro, affidando la gestione della cosa alla Consip. La paura di sbagliare, in questo caso, si è rivelata il più tragico degli errori.
In questo momento sei in Italia. Che progetti hai per il futuro? Pensi di tornare in Cina per gestire il progetto o coordinerai tutto da qui?
Per ora rimango in Italia. Ho la fortuna di avere dei validi collaboratori in Cina con cui posso confrontarmi e coordinarmi. Le mie giornate sono divise tra interviste e frenetiche conference call.
Ma i 50 milioni di mascherine sono poi stati acquistati?
Sì, da Germania e Stati Uniti.
Parole a Colori è un sito di cultura e cinema, e a noi piace guardare al futuro con ottimismo. Se la tua storia dovesse diventare un film, quale attore ti piacerebbe che vestisse i panni di Filippo Moroni?
Se la mia storia diventasse veramente un film mi augurerei questa parte fosse solo l’inizio, un 8% della sceneggiatura diciamo. Ora lavoriamo in positivo. Abbiamo lanciato un progetto ambiziosissimo, #masks4mass: vogliamo portare 1 miliardo di mascherine in Italia a costo sociale di 1 solo euro o anche meno, se possibile. Se dovessi fare il nome di un attore, comunque, direi Luca Marinelli. Siamo fisicamente diversi, ma lo stimo molto e credo che potrebbe ben rappresentare la mia indole e personalità.
Grazie Filippo per essere stato con noi. E speriamo che alla fine la burocrazia non si riveli più dannosa del virus stesso.
Grazie a te, Roberto. Ti lascio con il nostro slogan: il futuro è sulla bocca di tutti.